domenica 26 marzo 2017

La lotta di classe è qui

Ottima traduzione appena ricevuta da Claudio. Seconda parte di un bellissimo reportage che Die Zeit dedica allo straordinario successo elettorale di AfD a Bitterfeld, in Sachsen-Anhalt, e in molte altre zone dell'Est. A Bitterfeld alle regionali del 2016 AfD ha superato il 31%: un risultato che non puo' essere spiegato solo con la rabbia per l'ondata di migranti. Grazie Claudio per l'articolo! Si arriva da QUI


Dodici anni dopo, nell'agosto del 2015, la signora in tailleur è nuovamente davanti alle telecamere. Adesso è diventata Cancelliera. Era il tempo in cui centinaia di migliaia di profughi giunsero in Germania attraverso i Balcani in cerca di rifugio; in larga parte persone che inizialmente vivrebbero svolgendo lavoretti semplici o richiedendo sussidi sociali. La Merkel sembra più benevola del solito, come trasformata. Parla di empatia, chiede ai Tedeschi di non farsi guidare dai pregiudizi e dalla “freddezza”, dando il benvenuto ai migranti. Disse: “la nostra economia è florida, il nostro mercato del lavoro è solido ed è certamente in grado di assorbire nuovi lavoratori”. Poi aggiunse quello che Diana Riemann ancora oggi non è riuscita a capire. Disse: “ce la facciamo”.

Poco tempo dopo nei capannoni della Soex c'erano i primi migranti che smistavano vestiti usati. La Soex è stata una delle poche fabbriche della zona ad offrire lavoro soprattutto agli immigrati: i giornali locali hanno riportato la notizia con toni encomiastici. Diana Riemann tira fuori il suo Smartphone e mostra una foto della fabbrica: una stanza disadorna con un tappeto rosso a quadri, sul pavimento c'è un Corano. Ci racconta che di recente la dirigenza ha fatto allestire una sala per la preghiera per i rifugiati. “Se io dicessi: vado un attimo a pregare perderei il mio lavoro. Oso a malapena andare in bagno, poiché in contrasto con le norme di lavoro”. Noi abbiamo chiesto all'addetto stampa della Soex se è vero che le condizioni dei lavoratori Tedeschi siano peggiori di quelle degli immigrati ma la risposta è stata un secco “no comment”.

A detta della Riemann agli immigrati vengono concessi permessi a lavoro nel caso in cui debbano recarsi al Sozialamt o all'Ausländerbehörde (n.d.t. rispettivamente “ufficio assistenza sociale” e “ufficio immigrazione”). Anche lei una volta ha avuto la necessità di rivolgersi all'ufficio preposto per richiedere il sussidio per la casa. “A me però non è stato concesso di andarci durante l'orario di lavoro” ci rivela. In quel caso la Riemann aveva un urgente bisogno del sussidio ma non è riuscita a ottenerlo, per via di pochi euro di troppo nella busta paga.

Negli ultimi anni durante i dibattiti di economia e politica si è parlato spesso e quasi unicamente del fatto che in Germania il personale qualificato sarebbe sommerso di offerte di lavoro e che la priorità fondamentale delle aziende sarebbe quella di offrire ai propri dipendenti un equilibrio armonioso tra lavoro e vita privata (work-life balance). Di conseguenza, le uniche questioni ancora aperte vertono sul maggiore accesso ai ruoli dirigenziali per le donne e sulla possibilità di includere gli immigrati nel mercato del lavoro. Raramente sono stati presi in considerazione coloro di cui ci si dimentica facilmente per via della congiuntura economica positiva, ossia tutti quelli che, pur avendo un lavoro, risultano poveri, che anche nel 2016 devono aver paura di perdere il lavoro, che non vivono nella ricca e prospera Germania, bensì in uno di quei Comuni indebitati fino al collo. Queste persone sono state zitte per anni. Ora però alcuni di loro vedono nell'AfD un partito che possa dar loro una voce, mentre nei rifugiati vedono una minoranza che è riuscita a sottrarre la compassione di una Cancelliera dimostratasi fino ad allora poco sensibile alle loro istanze sociali. Ed è da qui che che scaturisce il loro risentimento.

Diana Riemann va in cucina a prendere il caffè. Quando torna dice: “a quelle bestie un altro po' il Sozialamt pulisce pure il culo.”

A chi?

“A quelle bestie”, fa una pausa. “Agli stranieri”.

Non sono forse esseri umani?

“No”, poi ci offre del caffè. “Volete un altro bignè?”

Quello che è accaduto in quel mercoledì di dicembre al tavolo della Riemann si ripete quotidianamente mille altre volte. Nei commenti dei giornali online e sui profili Facebook dei politici; anche su quello del deputato di AfD Daniel Roi, dove lui posta le proprie foto personali: davanti al Parlamento regionale del Magdeburgo, assieme ai volontari dei vigili del fuoco o a una manifestazione dei sindacati. Qualche volta condivide articoli dei giornali, di solito riguardanti terroristi e criminali stranieri, come ad esempio l'attentatore tunisino che ha fatto irruzione in un mercatino di Natale presso la Gedächtniskirche di Berlino oppure i giovani rifugiati siriani che avrebbero dato fuoco ad un senzatetto. Gli amici di Roi su Facebook scrivono commenti di questo tipo:

“L'Islam e tutto ciò che gli gravita intorno sono ripugnanti.”

“I topi non stanno solo nelle fogne, sono anche in mezzo a noi.”

“Non si può fare di tutta l'erba un fascio ma con l'influenza aviaria verranno spazzati via tutti quanti. Perché? Meglio così!”

Roi non rimuove i commenti dalla propria pagina, dice che non ha tempo per leggerli tutti uno per uno.

Se proviamo a chiedere a Diana Riemann da dove proviene l'odio che ha manifestato quel pomeriggio, lei ci parla della delusione e delle privazioni che l'hanno consumata ben prima che i profughi mettessero piede nella fabbrica della Soex.

Il patto proposto da Angela Merkel al congresso di Lipsia, la formula magica neoliberista, secondo la quale le buone prestazioni vengono sempre ricompensate con lauti guadagni, per lei non funziona: ha imparato un mestiere, si è dimostrata flessibile ogni volta che era necessario, si è sempre impegnata. Ma in cambio non ha ricevuto né benessere né sicurezza. Mentre gli stipendi di parecchi lavoratori come lei sono fermi al palo da anni, altri hanno ricevuto per molto tempo sempre di più anche quando commettevano errori: i banchieri, i cui istituti sono stati sussidiati con i miliardi dello Stato o i manager delle multinazionali che frodano i clienti e ciononostante portano a casa i bonus.

Adesso che Merkel ha “invitato” i profughi - così si esprime la Riemann – lei si sente doppiamente tradita. Dice di aver paura di perdere il proprio lavoro per poi dover concorrere con persone meno istruite di lei per i posti rimanenti. Racconta di aver notato poco tempo fa una un avviso nella bacheca della Soex: la ditta sta costruendo una fabbrica ad Abu Dabi. Da allora la Riemann è convinta che lo stabilimento a Bitterfeld verrà presto chiuso e non è l'unica a nutrire tale timore.

Nell'estate del 2016, pochi mesi dopo la vittoria elettorale di Afd a Bitterfeld, alcuni sociologi dell'Università di Oxford condussero un sondaggio su incarico della fondazione Bertelsmann. Il loro obiettivo era di ricercare i motivi che in Europa spingono così tante persone a votare i partiti nazionalisti di estrema destra. Il risultato è stato dappertutto lo stesso. I sostenitori della tedesca AfD e dell'austriaco FPÖ, così come i britannici che votano Ukip e i francesi che supportano il Front National, hanno un sentimento comune: la paura della globalizzazione. In Germania il 78% di coloro che votano AfD hanno ammesso tale timore.


Quando le multinazionali straniere giunsero a Bitterfeld Helmut Kohl promise “paesaggi in fiore”1; quando i rifugiati si insediarono a Bitterfeld Angela Merkel promise che la Germania ce l'avrebbe fatta. “Kohl ci ha presi in giro e la Merkel ha dimenticato da dove viene” dice la Riemann. “Una volta lei era una di noi. Dovrebbe sapere che dalle nostre parti ci sono ancora tanti problemi per i quali non si trova una soluzione.”

A Bitterfeld le esigenze dei cittadini vengono bloccate sempre con la stessa frase: non ci sono soldi. Non ce ne sono per le scuole e per gli ospizi, né per le strade dissestate o per i parchi giochi. “Poi sento: per gli immigrati ci sono miliardi a disposizione, questo però fa a pugni con la realtà”, dice la Riemann.

Bitterfeld-Wolfen è il comune più indebitato della Sassonia-Anhalt, un esempio estremo per un problema assai diffuso: mentre l'economia tedesca nel complesso prospera radiosa, alcuni singoli Comuni se la passano decisamente male. E non solo nella Germania orientale, anche nella zona della Ruhr, in Renania Palatinato o in Saarland. Quanto questi Comuni si ritrovino a dover mendicare disperatamente la benevolenza delle multinazionali, e quanto siano impotenti di fronte alle leggi della globalizzazione, lo si può osservare a Bitterfeld-Wolfen.

In un campo alla periferia della città c'è un sito industriale con capannoni grandi quanto campi da calcio e torri in vetro e cemento armato. L'ingresso principale rimane aperto, la portineria è vuota. Nel parcheggio è cresciuta l'erba. Dei cartelloni fiancheggiano la strada: “impianto di produzione affittasi”.

Fino a pochi anni fa qui germogliava la speranza della Germania orientale: un enorme complesso industriale dove migliaia di lavoratori costruivano pannelli solari che venivano esportati in tutto il mondo. Quest'area veniva chiamata dagli abitanti di Bitterfeld “solar valley”; in quel periodo si aveva l'impressione che questa regione ce l'avesse davvero fatta. Le aziende che producevano qui avevano nomi che rievocavano il futuro, come Q-Cells, Sovello, Solibro e Calixo. La città aveva fatto loro una corte spietata attraverso basse imposte, forza lavoro altamente flessibile, finanziamenti multimilionari e uno svincolo autostradale costruito appositamente per il complesso industriale. Anche il governo federale fece la sua parte: approvò delle sovvenzioni per la produzione di energia solare affinché la richiesta di panelli solari crescesse. Le imprese arrivarono e portarono con sé migliaia di posti di lavoro.

Non passò molto tempo prima che delle multinazionali cinesi cominciarono a produrre – a prezzo più basso – lo stesso tipo di pannelli solari al punto da fagocitare le aziende di Bitterfeld e delocalizzare il lavoro. Migliaia di persone furono licenziate. “Fu un taglio netto” dice Daniel Roi, il quale ritiene che il discorso delle multinazionali non sia poi così dissimile da quello riguardante il lago Goitzsche: lo Stato sborsa milioni con l'intento di attirare i grandi capitali. Alla fine però alla collettività non spetta niente. “Il sistema capitalistico, che ormai non conosce più limiti, è fallito” dice lui.

Oggi gli abitanti di Bitterfeld hanno imparato a diffidare delle benedizioni della globalizzazione, così come nutrono parecchi dubbi circa il reale potere dello Stato: perché il governo non si tutela di fronte alle multinazionali cinesi? Perché continua a sovvenzionare la vendita di pannelli solari che non sono prodotti dai lavoratori tedeschi, bensì principalmente da quelli asiatici? La Merkel non aveva promesso che si sarebbe fatta carico del benessere e della sicurezza delle persone, a patto che queste si dimostrassero flessibili e diligenti?

Da allora gli abitanti di Bitterfeld si sono adeguati alle esigenze delle imprese, impostando la loro vita secondo il ritmo delle fabbriche. La società attuale che promuove lo sviluppo economico propaganda tra la popolazione la “dipendenza dai prodotti chimici” e ”l'assuefazione al regime su tre turni di lavoro”. La città ha chiamato le proprie strade con i nomi delle aziende e dei loro prodotti: Heraeusstraße, Guardianstraße, Stickstoffstraße (“via dell'azoto” n.d.t.), Farbstoffstraße (“via del colorante” n.d.t.). Ha perfino rinunciato a sé stessa pur di attirare le imprese. Nel 2007 vi fu una riforma distrettuale e Bitterfeld fu accorpata – contro la volontà dei cittadini – a Wolfen. Si fusero per poter essere più appetibili dal punto di vista commerciale. Si avvicinarono per mascherare il reciproco invecchiamento e disfacimento. Da allora molti centri della Germania orientale hanno nei loro nomi una caratteristica che prima si riscontrava solo nella zona occidentale: il trattino, come per esempio Dessau-Roßlau o, se preferite, Bitterfeld-Wolfen.

Durante gli ultimi anni ci sono state sempre nuove multinazionali che portavano posti di lavoro a Bitterfeld, ma questi lavori non erano mai sicuri. Ci sono stati politici locali che hanno fatto di tutto per attirare i colossi industriali. Ma ciò che si è rivelato al di là delle loro possibilità è stata la capacità di farli restare qui.

L'Afd non ha alcuna soluzione per tali problemi. Il suo manifesto economico è scarno e impreciso, in alcuni punti richiama la lotta di classe, altrove sembra aderire sfrenatamente ai dettami del libero mercato. Su una cosa sono però molto bravi: sanno ascoltare le persone come Diana Riemann, conoscono i loro bisogni, canalizzano la loro rabbia, di solito nella direzione più semplice di tutte, verso il basso, contro i migranti, contro coloro che hanno ancora meno di loro.

Se chiedete a Diana Riemann dell'SPD o della Linke, vi dirà che ha visto i loro rappresentanti in TV e che non capisce il loro linguaggio. Se invece le chiedete dell'AfD vi risponderà Daniel Roi. Lo ha conosciuto durante una manifestazione, protestavano insieme contro la chiusura di una scuola materna. Lei gli parlò dei suoi problemi e lui le diede il suo numero di cellulare.

Roi parla la sua stessa lingua, quel ruvido dialetto tanto diffuso nella zona meridionale della Sassonia-Anhalt. Lui è nato qui, a Wolfen-Nord, una sorta di colonia operaia in cui alla fine degli anni '80 vivevano all'incirca 35.000 persone. Oggigiorno 8.000 di loro vivono ancora li', in maggioranza pensionati. Con la sua Škoda passa davanti ai prefabbricati, a Kaufland (n.d.t. centro commerciale) e Nettomarkt (n.d.t. supermercato), poi scende dalla macchina e si incammina attraverso i canyon urbani. Donne anziane trascinano il loro deambulatore sull'asfalto squarciato, accanto ad un enorme cumulo di macerie le scavatrici sbriciolano il calcestruzzo lavato dei prefabbricati sventrati. Gli operai trascinano fuori le interiora degli edifici: tubi degli impianti di riscaldamento, tazze del gabinetto, pannelli isolanti. Un paio di anni fa la Società per l'edilizia residenziale della città innalzò i prezzi degli affitti, nonostante il quartiere fosse decrepito. In seguito a ciò alcuni cittadini fondarono un'iniziativa a difesa degli affittuari; il loro presidente siede oggi nel consiglio esecutivo dell'AfD.

Più tardi Roi si reca nel centro di Bitterfeld. I proprietari di alcuni piccoli negozi hanno fondato un comitato a tutela del centro città. Si lamentano del fatto che in centro i negozi siano vuoti e che intorno a Bitterfeld stiano spuntando grandi centri commerciali. Protestano contro le imposte che sono obbligati a pagare, mentre in Germania le catene di moda internazionali pagano pochissime tasse. Si scagliano contro i colossi on-line come Amazon che danneggiano i loro affari. Il presidente del comitato il prossimo anno vuole candidarsi al parlamento; con AfD.

Roi gironzola nella piazza del mercato che si tiene qui ogni mercoledì. Vi si trova formaggio olandese e panini con würstel della Turingia per 1,80 €. Lì in mezzo, vicino alla teca del pollame, un partito ha allestito un bancone, l'unico lungo e largo. È l'AfD.


1 N.d.t. L'espressione blühende Landschaften fu usata dall'allora Cancelliere Helmut Kohl in due circostanze (1990 e 1991) con riferimento alle prospettive economiche dei territori dell'ex Germania Est

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