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mercoledì 17 maggio 2023

Wolfgang Streeck - La leadership militare tedesca in Ucraina e il ruolo della Germania nel nuovo ordine mondiale

"Macron e i precedenti presidenti francesi hanno sempre saputo che per dominare l'Unione Europea, la Francia ha bisogno della Germania al suo fianco, o nel gergo di Bruxelles: sul sedile posteriore di un tandem franco-tedesco. Il problema è che ora la Germania sembra essere finalmente uscita da questa visione. Sotto la guida dei Verdi, sogna, insieme alla Polonia e agli Stati baltici, di portare Putin davanti alla Corte penale internazionale dell'Aia, il che presuppone che i carri armati ucraino-tedeschi entrino a Mosca proprio come un tempo i carri armati sovietici sono entrati a Berlino" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck. 

La politica estera tedesca dominata dai Verdi e dalla Baerbock è ormai completamente appiattita sulle posizioni degli Stati Uniti, tanto che i tedeschi, secondo Streck, stanno per assumere la leadership militare in Ucraina e dovranno dare il cambio agli americani che invece si stanno concentrando sul Pacifico nello scontro esistenziale con la potenza cinese. Un'analisi molto interessante del grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck da Makroskop.de

rapporti Cina Germania e leadership tedesca

Gli italiani, si dice, coltivano una visione della politica che chiamano dietrismo. Il dietrismo sarebbe la convinzione abituale che ciò che si vede serve a nascondere qualcosa che non si vede dietro ad un sipario che divide il mondo in un palcoscenico anteriore e in un palcoscenico posteriore - quest'ultimo il luogo dove si svolge la vera azione, il primo invece è il luogo dove tutto viene artatamente travisato. Si legge qualcosa, si sente qualcosa alla radio o alla televisione e da dietrista praticante ci si chiede non tanto cosa ci viene detto, ma perché e perché proprio ora.


In questi giorni, dopo tre anni di Covid e un anno di guerra in Ucraina, sembra che siamo diventati tutti italiani: dietrismo ovunque, come la pasta. Sempre più spesso leggiamo le "narrazioni" prodotte a nostro uso e consumo dai governi e dalla stampa mainstream, non per quello che ci dicono, ma per quello che non ci dicono - come i prigionieri della caverna di Platone ormai diffidenti verso tutto e tutti che cercano di dare un senso nascosto alle ombre proiettate sulla parete davanti a loro.

wolfgang streeck leadership militare tedesca in Ucrina
Wolfgang Streeck



Prendiamo, ad esempio, il rapporto semi-ufficiale sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream pubblicato dal New York Times e fatto trapelare al settimanale tedesco Die Zeit: sei persone ancora sconosciute su uno yacht polacco, affittato da qualche parte nella Germania dell'Est, che ovviamente avrebbero lasciato sul tavolo della cucina dell'imbarcazione le tracce dell'esplosivo che avevano trasportato sulla scena del crimine.


Non c'era bisogno di riflettere a lungo per capire che la storia era stata inventata per sovrapporsi al rapporto pubblicato da Seymour Hersh, l'immortale reporter investigativo. La cosa eccitante per la mente del dietrista è che la narrazione sostitutiva era così palesemente ridicola da far pensare che la sua ridicolaggine non fosse il risultato di incompetenza - nemmeno la CIA potrebbe essere così stupida - ma intenzionale, il che porta a chiedersi quale potesse essere il suo scopo reale. Forse, secondo i piu' cinici, l'intenzione era quella di umiliare il governo tedesco e i suoi procuratori federali e di affossare la loro volontà di fare chiarezza facendogli dichiarare pubblicamente un'evidente assurdità come se si trattasse di una pista preziosa nel loro incessante sforzo di svelare il mistero dell'attentato al Nord Stream; una sorta di sadismo politico.


Panico a Kiev

Un altro aspetto ancora più interessante della storia è che i presunti noleggiatori della barca sarebbero in qualche modo legati a dei "gruppi filo-ucraini". Sempre secondo il rapporto, anche se non c'era alcuna indicazione che si trattasse di legami con il governo o l'esercito ucraino, qualsiasi conoscitore di Le Carré sa bene che quando sono coinvolte le agenzie di intelligence, qualsiasi tipo di prova può essere facilmente trovata se si rende necessario. Non sorprende che il rapporto abbia scatenato il panico a Kiev, dove è stato inteso - probabilmente in maniera corretta - come un segnale da parte degli Stati Uniti sul fatto che la loro pazienza nei confronti dell'Ucraina e della sua attuale leadership non è illimitata.

Tanto più che, più o meno nello stesso periodo, si andavano accumulando notizie su fatti di corruzione in Ucraina, sempre provenienti dagli Stati Uniti, che rafforzavano la crescente opposizione dei repubblicani al Congresso a dirottare somme sempre maggiori verso il bilancio militare ucraino - come se la corruzione in Ucraina non fosse da sempre ben nota (si veda la trovata di mettere Hunter Biden come esperto di politica energetica nel consiglio di amministrazione della Burisma Holdings Ltd). A gennaio, ad esempio, il Washington Post e il New York Times avevano pubblicato una serie di articoli sulle malefatte ucraine, come i comandanti dell'esercito che usavano i dollari americani per comprare il diesel russo a basso costo per i carri armati ucraini intascandosi la differenza. In preda al panico, lo scioccato Selenskyj, come ha fatto sapere, aveva licenziato due o tre funzionari di alto livello promettendo di licenziarne degli altri in seguito.



Perché questa è stata interpretata come una notizia improvvisa e sorprendente, quando da tempo è noto che l'Ucraina è uno dei Paesi più corrotti al mondo? A ciò che deve essere sembrato sempre più come un'inquietante profezia, si sono aggiunti i documenti segreti americani trapelati nella seconda metà di aprile, i quali mostrano come la fiducia dei militari americani nella capacità dell'Ucraina di organizzare una controffensiva di successo in primavera, o addirittura di vincere la guerra come il governo ucraino aveva promesso ai suoi cittadini e agli sponsor internazionali, fosse ai minimi storici.


Per gli oppositori americani della guerra, sia repubblicani che democratici, questa sembra essere la conferma che mantenere l'esercito ucraino potrebbe avere costi proibitivi, soprattutto perché entrambi i partiti politici negli Stati Uniti concordano sul fatto che il loro paese prima o poi dovrà prepararsi a una guerra molto più grande contro la Cina nel Pacifico. (Entro la fine del 2022, infatti, si stima che gli Stati Uniti avranno speso 51 miliardi di dollari per sostenere lo sforzo bellico ucraino; altri 55 miliardi di dollari sono stati versati dall'Europa occidentale. Si prevede che, con il progredire della guerra, ne serviranno molti di più, attualmente serve un miliardo di euro solo per le munizioni da utilizzare nell'offensiva di primavera ucraina). Per gli ucraini e i loro sostenitori europei, la conclusione sembra ovvia: si sta avvicinando il momento in cui gli Stati Uniti si congederanno dal campo di battaglia e consegneranno i loro affari europei incompiuti ai locali.



Rispetto all'Afghanistan, alla Siria, alla Libia e a luoghi simili, ciò che gli americani probabilmente quest'estate lasceranno in Ucraina non è in uno stato altrettanto caotico. In collaborazione con gli Stati baltici e la Polonia, negli ultimi mesi gli Stati Uniti sono riusciti a spingere la Germania sempre piu' verso un ruolo di leadership europea, facendo assumere al paese la responsabilità di organizzare e, soprattutto, finanziare il contributo europeo alla guerra ucraina. Nel primo anno di guerra, l'UE è stata gradualmente trasformata in una forza ausiliaria della NATO, responsabile della guerra economica, mentre la NATO è diventata più che mai uno strumento della politica americana, con il marchio "occidentale".



Quando il Segretario Generale della NATO Stoltenberg sarà ricompensato per il suo duro lavoro con un meritato incarico, la presidenza della Banca Centrale Norvegese, a metà del 2023, si dice che a succedergli sarà Ursula von der Leyen, attualmente presidente della Commissione Europea. Ciò completerà la subordinazione dell'UE alla NATO, vale a dire l'altra organizzazione internazionale molto più potente con sede a Bruxelles e che, a differenza dell'UE, comprende ed è dominata dagli Stati Uniti. Nella sua vita precedente, come è noto, la von der Leyen è stata il ministro della Difesa tedesco sotto il governo Merkel. E in questa veste, è in parte responsabile del presunto stato di desolazione delle forze armate tedesche all'inizio della guerra in Ucraina; a quanto pare, però, le è stato perdonato tutto a causa del suo ardente americanismo in quanto europeista o europeismo in quanto americanista. In ogni caso, nel gennaio 2023, l'UE e la NATO hanno firmato un documento per una più stretta cooperazione, resa possibile anche dalla rinuncia di Finlandia e Svezia alla loro neutralità per entrare nella NATO. Secondo la FAZ, l'accordo "sancisce in modo inequivocabile il primato dell'Alleanza nella difesa collettiva dell'Europa" e conferma così il ruolo guida degli Stati Uniti non solo nella politica di sicurezza europea.



Per quanto riguarda la Germania, il suo governo è attualmente impegnato ad assemblare divisioni di carri armati pronti per il combattimento dai vari produttori europei (gli M1 Abrams americani arriveranno in Europa tra "pochi mesi", secondo l'amministrazione Biden, e i loro equipaggi ucraini saranno addestrati nelle basi militari tedesche). Presto la Germania fornirà e manterrà anche i jet da combattimento che ancora si rifiuta di consegnare nell'ambito degli accordi con gli Stati Uniti, anche se, come dimostra l'esperienza, non per molto ancora.



Nel frattempo, Rheinmetall ha annunciato che costruirà in Ucraina una fabbrica di carri armati con una capacità di 400 carri di ultima generazione all'anno: secondo gli esperti, un investimento enorme, sia dal punto di vista tecnico che finanziario, che sembra impensabile senza garanzie da parte del governo tedesco. Inoltre, alla vigilia della riunione del Ramstein Support Group del 21 aprile, la Germania ha firmato un accordo con la Polonia e l'Ucraina per la creazione di un'officina di riparazione per i carri armati Leopard danneggiati sul fronte ucraino, che sarà ubicata in Polonia e che entrerà in funzione alla fine del 2023 (apparentemente partendo dal presupposto, che sembra essere diventato ovvio tra gli strateghi, vale a dire che la guerra non sarà finita per allora). A ciò si aggiunge la promessa della von der Leyen, liberamente rinnovata più e più volte in nome dell'Unione Europea, che l'Ucraina dopo la guerra sarà ricostruita a spese europee, cioè in pratica tedesche - tra l'altro senza alcuna menzione di un contributo da parte degli oligarchi ucraini, che non sono certo numerosi ma proprio per questo motivo più ricchi. In effetti, la visita del Ministro dell'Economia tedesco Habeck a Kiev all'inizio di aprile, insieme a una delegazione di amministratori delegati di grandi aziende tedesche, è stata l'occasione per sondare le future opportunità commerciali per la ricostruzione dell'Ucraina dopo la fine della guerra.



Certo, potrebbe volerci del tempo prima di allora. I documenti americani recentemente trapelati e le dichiarazioni dei commentatori americani semi-ufficiali indicano che non ci si può aspettare una vittoria finale ucraina a breve, se mai ci sarà. Le forniture occidentali di equipaggiamento militare sembrano essere calibrate per consentire all'esercito ucraino di mantenere la posizione; se i russi dovessero guadagnare territorio, l'Ucraina riceverà tutta l'artiglieria, le munizioni, i carri armati e gli aerei da combattimento di cui ha bisogno per respingerli. Tuttavia, una vittoria ucraina, dichiarata dal partito al governo ucraino come vitale per la sopravvivenza del popolo ucraino, non sembra più essere sulla lista della spesa americana. Se si guarda ai piani di consegna dei carri armati Abrams e dei cacciabombardieri, per quanto si possa evincere dagli annunci ufficiali, ci si aspetta piuttosto qualcosa di simile a una prolungata guerra di trincea, con un corrispondente prolungato spargimento di sangue da entrambe le parti. È interessante in questo contesto che Selenskyj, in un momento apparentemente sconsiderato durante uno dei suoi discorsi televisivi quotidiani, abbia chiesto un sostegno militare più massiccio da parte dell'Occidente, sostenendo che l'Ucraina deve vincere la guerra prima della fine del 2023 perché il popolo ucraino potrebbe non essere disposto a sostenere il peso della guerra per molto tempo ancora.



Mentre gli Stati Uniti europeizzano la guerra, spetterà alla Germania non solo organizzare il sostegno occidentale all'Ucraina, ma anche, a un certo punto, far capire al governo ucraino che alla fine questo sostegno non sarà sufficiente per una pace vittoriosa. In quanto franchisee degli Stati Uniti per la guerra ucraina, la Germania sarà incolpata come il capro espiatorio più di tutti gli altri paesi se l'esito della guerra non sarà all'altezza delle aspettative dell'opinione pubblica in Europa orientale, negli Stati Uniti, tra gli attivisti tedeschi pro-ucraini e certamente nella stessa Ucraina.

carri armati leopard tedeschi
Carri  armati Leopard tedeschi




"Swing verso l'Asia"



Questa prospettiva deve sembrare alquanto scomoda per il governo tedesco, perché ora sembra sempre più improbabile che una decisione sulla fine della guerra venga presa proprio in Europa. Un attore potenzialmente decisivo sullo sfondo sarà la Cina, che rifiuta qualsiasi uso delle armi nucleari e in linea di principio non fornisce armi ai Paesi in guerra, compresa la Russia. Dopo una breve visita a Pechino lo scorso novembre, Scholz ha affermato che si trattava di una concessione alla Germania; la corrispondente politica cinese in realtà è molto più antica. La riluttanza americana a permettere all'Ucraina di vincere in modo definitivo e l'emergente intenzione degli Stati Uniti di consegnare alla Germania la riabilitazione postbellica dell'Ucraina potrebbero essere motivate dal desiderio di permettere alla Cina di attenersi alla sua politica di non interferenza, cosa che probabilmente non sarebbe in grado di fare se la Russia e il suo regime alla fine venissero messi con le spalle al muro. Se si tratta in realtà di qualcosa di più di un accordo tacito, come potrebbe essere un qualche tipo di accordo negoziato, è improbabile che venga reso pubblico in un momento in cui l'amministrazione Biden si sta preparando alla guerra con la Cina.



I supernazionalisti al potere a Kiev iniziano a sentire puzza di bruciato. Poco dopo la riunione del gruppo di sostegno di Ramstein, il viceministro degli Esteri ucraino Andrei Melnyk, rappresentante del classico elemento fascista filo-Bandera nel governo ucraino, ha ringraziato educatamente per la promessa di una consegna di armi. Allo stesso tempo, ha fatto sapere che queste armi erano del tutto insufficienti per una vittoria ucraina nel corso del 2023; per questo, secondo Melnyk, sarebbero stati necessari non meno di dieci volte il numero di carri armati, aerei, obici e simili rispetto a quelli promessi. Melnyk, che ha studiato all'Università di Harvard, doveva sapere che ciò avrebbe irritato profondamente i suoi padroni americani. Il fatto che questo non sembri preoccuparlo piu' di tanto lascia ipotizzare che lui e i suoi coadiutori ritengono che gli Stati Uniti siano da tempo impegnati nel loro "swing to Asia". Può anche essere visto come un segno della disperazione della destra ucraina al potere di fronte alle prospettive di una guerra molto lunga e della sua volontà di combatterla comunque fino in fondo - nella convinzione nazionalista radicale che le vere nazioni crescano sul campo di battaglia, nutrendosi del sangue dei loro migliori eroi.



Un nuovo ordine mondiale: bipolare o multipolare?

La crisi emergente dell'ultranazionalismo ucraino è legata alla lotta appena iniziata per definire un nuovo ordine globale, i cui contorni, compreso il posto dell'Europa e dell'Unione Europea in esso, possono essere compresi solo inserendo la Cina nel quadro generale.



Gli Stati Uniti, nel processo di riorientamento verso l'Asia, sono alla ricerca di un'alleanza globale che circondi la Cina e le impedisca di mettere in discussione il controllo americano del Pacifico conquistato con la Seconda guerra mondiale. In questo modo verrebbe rimpiazzato il mondo unipolare del "Progetto per un nuovo secolo americano" neoconservatore, senza successo, con un mondo bipolare: la globalizzazione, anzi l'iperglobalizzazione, ora con due centri invece di uno, come accaduto nella Guerra Fredda, ma con la Cina al posto dell'Unione Sovietica, e con la lontana prospettiva di un ritorno, forse dopo una guerra calda, a un solo centro, una "Neue Weltordnung Mark II". (Per quanto riguarda il capitalismo, esso si è assicurato per due volte in modo decisivo la propria sopravvivenza lasciandosi ricostruire in maniera sostanziale negli anni successivi alle due grandi guerre del XX secolo, dopo il 1918 e il 1945, in un modo che non si pensava possibile in tempi normali; si può ipotizzare che nei centri capitalistici di pensiero strategico ci sia ancora memoria dell'effetto ringiovanente che la guerra ha avuto sul capitalismo in crisi).



Il progetto geostrategico della Cina, d'altra parte, sembra equivalere a un mondo multipolare. Sia per motivi geografici che per le capacità militari ancora in via di sviluppo, l'obiettivo della politica estera e di sicurezza cinese non può essere un ordine mondiale bipolare nel quale il paese combatte con gli Stati Uniti per il dominio globale, forse anche con l'obiettivo finale di un mondo unipolare con la Cina al centro. Essendo una potenza terrestre circondata da una moltitudine di vicini, la Cina ha bisogno innanzitutto di qualcosa di simile a un cordone sanitario di Paesi che si tengano lontani da alleanze con potenziali rivali - sulla falsariga di una Dottrina Monroe regionale, se vogliamo, in contrapposizione al desiderio degli Stati Uniti di globalizzare la propria Dottrina Monroe. (Gli Stati Uniti hanno solo due vicini, Canada e Messico, e possono stare tranquilli che non saranno mai alleati della Cina).



Un fronte di sicurezza cinese potrebbe essere tenuto insieme da infrastrutture fisiche transfrontaliere e da prestiti generosi. Al di là del suo spazio geografico, la Cina sembra poter contare sulla formazione di una lega di altre potenze regionali non allineate come il Brasile, il Sudafrica o l'India: se vogliamo, possiamo ipotizzare un nuovo Terzo Mondo che resti fuori dall'incombente confronto USA-Cina e, in particolare, si rifiuti di aderire alle sanzioni economiche americane contro la Cina e il suo nuovo protetto russo.

In effetti, ci sono segnali che indicano che la Cina preferirebbe essere vista come una potenza neutrale tra le altre, piuttosto che uno dei due contendenti per il dominio del mondo - almeno fino a quando non sarà sicura di non perdere una guerra contro gli Stati Uniti. Il desiderio di evitare un nuovo bipolarismo sulla falsariga della vecchia Guerra Fredda spiegherebbe anche il rifiuto della Cina di fornire armi alla Russia, che persiste tuttora, mentre allo stesso tempo l'Ucraina viene armata fino ai denti dagli Stati Uniti. (La Cina può permettersi di farlo perché la Russia non ha altra scelta che unirsi alla Cina, armi o meno, qualunque sia il prezzo richiesto dalla Cina per la sua protezione).



In questo contesto, la conversazione telefonica di un'ora tra Xi e Selenskyj del 26 aprile, di cui i media mainstream europei hanno parlato solo di sfuggita, potrebbe aver rappresentato una sorta di svolta. Sembra che Xi si sia offerto come mediatore nella guerra russo-ucraina, sulla base di un piano di pace cinese in dodici punti che era stato liquidato come banale e inutile dai leader occidentali, ammesso che ne avessero tenuto conto. Selenskyj ha descritto la conversazione come "significativa" e ha dichiarato che "è stata prestata particolare attenzione alle possibilità di cooperazione per creare una pace giusta e duratura per l'Ucraina". Se l'intervento cinese avrà successo - il che richiederebbe che Selenskyj sia in grado di rimuovere i suoi integralisti dal governo e che gli Stati Uniti si sentano costretti ad accettare le condizioni per un qualsiasi motivo - potrebbe avere un'importanza costitutente per l'ordine globale emergente dopo la fine della storia. Soprattutto sullo sfondo degli sforzi compiuti con successo dalla diplomazia cinese per riconciliare gli Stati fra loro nemici dell'Iran e dell'Arabia Saudita, è probabile che la conversazione tra Selenskij e Xi a Washington abbia suscitato un certo scalpore.

La delicata linea di Baerbock



Negli ultimi mesi, il ministro degli Esteri tedesco Baerbock ha girato il mondo nel tentativo di coinvolgere il maggior numero possibile di Paesi nel progetto americano di rinnovato bipolarismo attraverso appelli ai valori "occidentali", offerte di sostegno diplomatico, economico e militare e minacce di sanzioni economiche. La credibilità della Baerbock come ambasciatrice giramondo del progetto americano del "Nuovo Ordine Mondiale Mark II" presuppone, è vero, che il suo Paese segua rigorosamente la linea americana, compresa l'esclusione della Cina dall'economia mondiale. Questo, tuttavia, è in conflitto con gli interessi dell'industria tedesca e quindi della Germania in quanto Paese, il che costringe la Baerbock a perseguire una linea delicata, a volte addirittura contraddittoria, nei confronti della Cina. Ad esempio, mentre ha accompagnato la sua recente visita a Pechino con una retorica aggressiva e decisamente ostile, sia prima del suo arrivo che dopo la sua partenza - tanto che la sua controparte cinese si è sentita in dovere di dirle, durante una conferenza stampa congiunta, che l'ultima cosa di cui la Cina aveva bisogno erano le lezioni dell'Occidente -, sembra che durante il suo soggiorno in Cina abbia accennato al fatto che le sanzioni tedesche potrebbero essere selettive piuttosto che onnicomprensive, con relazioni commerciali in alcuni settori industriali che continuerebbero più o meno senza interruzioni.



Tra l'altro, sembra abbastanza probabile che Scholz sia riuscito prima a convincere gli Stati Uniti a concedere alla Germania un certo margine di manovra nelle relazioni con il suo più importante mercato di esportazione, come ricompensa per aver coordinato lo sforzo bellico europeo in Ucraina in linea con le richieste americane. Se gli Stati Uniti sono davvero interessati a un ruolo di mediazione della Cina nella guerra ucraina, difficilmente potrebbero comunque sostenere una dura politica di boicottaggio nei confronti della Cina.

D'altra parte, recentemente i produttori tedeschi sembrano aver perso quote di mercato in Cina in misura drammatica nel settore automobilistico, dove i clienti cinesi stanno evitando i nuovi veicoli elettrici tedeschi in favore di quelli cinesi. Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che i modelli tedeschi sono meno attraenti dei loro concorrenti cinesi, ma anche alla retorica anticinese tedesca in un Paese con forti sentimenti nazionalisti e anti-occidentali. Se così fosse, il problema dell'eccessiva dipendenza dell'industria tedesca dalla Cina come mercato di esportazione potrebbe presto risolversi da solo.



La politica anticinese della Germania, in linea con gli Stati Uniti e il loro progetto politico mondiale bipolare, sfocia in conflitti non solo interni ma anche internazionali. Ciò è particolarmente vero per il rapporto con la Francia, che minaccia di dividere l'Unione Europea ancora di più di quanto non lo sia già. Le aspirazioni francesi verso una "autonomia strategica" per l'"Europa" (e allo stesso tempo di "sovranità strategica" per la Francia) hanno una chance solo in un mondo multipolare con un gran numero di Paesi non allineati politicamente pesanti, esattamente nello spirito di ciò a cui sembrano aspirare i cinesi. Fino a che punto questo implichi una sorta di equidistanza dagli Stati Uniti da un lato e dalla Cina dall'altro è una questione che il presidente francese Emmanuel Macron lascia aperta - in modo del tutto intenzionale, si può supporre; a volte sembra chiedere l'equidistanza, a volte no. In ogni caso, l'equidistanza è un anatema come il non allineamento tra i militanti filo-occidentali, in Germania in particolare fra i Verdi, che attualmente controllano la politica estera tedesca. Essi diffidano profondamente delle occasionali proteste di Macron secondo cui l'"autonomia strategica" sarebbe compatibile con la lealtà transatlantica, in un momento di crescente confronto tra "l'Occidente" e il nuovo impero del male in Asia orientale.



Macron e i precedenti presidenti francesi hanno sempre saputo che per dominare l'Unione Europea, la Francia ha bisogno della Germania al suo fianco, o nel gergo di Bruxelles: sul sedile posteriore di un tandem franco-tedesco. Il problema è che ora la Germania sembra esserne finalmente uscita da questa visione. Sotto la guida dei Verdi, sogna, insieme alla Polonia e agli Stati baltici, di portare Putin davanti alla Corte penale internazionale dell'Aia, il che presuppone che i carri armati ucraino-tedeschi entrino a Mosca proprio come un tempo i carri armati sovietici sono entrati a Berlino. Macron, invece, vuole dare a Putin l'opportunità di "salvare la faccia" e tenersi aperta la possibilità di offrire alla Russia una ripresa delle relazioni economiche, dopo un cessate il fuoco mediato, se non dalla Francia, forse da una coalizione di Paesi non allineati del "Sud globale" o addirittura dalla Cina.



Il crepuscolo dell'alleanza franco-tedesca alla guida dell'UE e la trasformazione delle sue rovine in un'infrastruttura economica e militare anti-russa, gestita dai Paesi dell'Europa orientale in nome del transatlantismo americano, non è mai stato così evidente come durante il viaggio di Macron in Cina del 6 aprile, dopo Scholz (4 novembre) e prima di Baerbock (13 aprile). Curiosamente, Macron si è fatto accompagnare dalla von der Leyen, secondo alcuni come controlloare tedesco per impedirgli di abbracciare Xi in modo troppo appassionato, secondo altri per dimostrare ai cinesi che un presidente dell'UE non è un vero presidente.

I cinesi, che probabilmente hanno ben interpretato i segnali di Macron, gli hanno riservato un trattamento di riguardo, pur essendo indubbiamente consapevoli dei suoi problemi interni; a von der Leyen, invece, nota come integralista transatlantica, è stato riservato un non trattamento speciale. Durante il volo di ritorno con il suo aereo, senza la von der Leyen, che è volata altrove, Macron ha dichiarato alla stampa che gli alleati americani non sono vassalli americani, il che è stato interpretato ancora una volta come una richiesta all'Europa di mantenere la stessa distanza dalla Cina e dagli Stati Uniti. La Germania, in primis il suo ministro degli Esteri, è rimasta sconcertata e lo ha fatto sapere senza mezzi termini, seguita - doverosamente e unanimemente, come è consuetudine di questi tempi - dai media tedeschi.



Pochi giorni dopo, l'11 aprile, Baerbock ha partecipato alla riunione dei ministri degli Esteri del G7 in Giappone. Lì ha convinto i suoi colleghi, compreso quello francese, a giurare il più possibile fedeltà alla bandiera americana, che come sappiamo rappresenta un mondo indivisibile con libertà e giustizia per tutti. A quel punto, Macron, constatando che la sua spinta retorica contro il vassallaggio franco-europeo aveva riscosso scarso interesse da parte degli oppositori della sua riforma pensionistica, aveva già fatto marcia indietro e riaffermato la sua perenne fedeltà alla NATO e agli Stati Uniti. Non c'è motivo tuttavia di credere che questo fermerà la svolta dell'Unione Europea in atto dalla guerra in Ucraina: una crescente spaccatura tra Francia e Germania e l'ascesa dei paesi membri dell'Europa dell'Est in seguito al ritorno degli Stati Uniti in Europa sotto la guida di Biden, nel quadro di una preparazione ad un confronto globale con il Paese di Xi sulla scia dell'implacabile spinta americana a rendere il mondo piu' sicuro per la democrazia.


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giovedì 6 aprile 2023

Deregolamentazione, flessibilizzazione e liberalizzazione, cosi' Bruxelles ha imposto il nuovo corso neoliberista ai lavoratori della periferia

La Nuova Politica del Lavoro Europea accresce la divisione fra i lavoratori della periferia sud e gli Stati del centro, con la Germania nel ruolo di paese egemone. E' questo il risultato di un'analisi molto interessante condotta dal politologo Felix Syrovatka sugli ultimi 10 anni di politiche europee. Ne scrive Makroskop.de



L'UE non è amica degli alti salari. Per esercitare pressioni sull'andamento dei salari nei paesi membri, infatti, ricorre agli strumenti della Troika o del Semestre europeo. E lo fa con "successo": uno "sviluppo salariale moderato", unito a un settore finanziario deregolamentato e a una politica monetaria espansiva hanno innescato una deflazione dei prezzi dei beni di consumo e un'inflazione degli asset patrimoniali.

L'economista politico Felix Syrovatka ha ridefinito questa politica salariale restrittiva come la nuova politica europea del lavoro (NEA). "Nuova" è NEA nel senso che la politica del lavoro prima della crisi dell'euro per gli Stati dell'UE era essenzialmente una questione nazionale. Nel suo studio omonimo, New European Labour Policy. Embattled Integration in the Euro Crisis, esplora tre questioni centrali: in primo luogo, si interroga sulla trasformazione della politica del lavoro europea nel periodo in esame, dal 2009 al 2017, e sulle lotte sociali che ne sono alla base. In secondo luogo è interessato al ruolo degli strumenti di politica del lavoro nella gestione della crisi europea e alla narrazione egemonica della crisi su cui si basano le politiche del lavoro. In terzo luogo, vuole individuare le forze sociali costitutive nel conflito sulla politica del lavoro e quali sono le strategie e gli interessi che stanno perseguendo.



Deregolamentazione, flessibilizzazione, liberalizzazione: la divisione dell'Europa

Syrovatka inizia notando uno spostamento di competenze nella politica del lavoro dal livello nazionale a quello sovranazionale. Prima della crisi dell'euro, il potere di disporre in materia di politica del lavoro [1] era principalmente di competenza degli Stati membri dell'UE. La situazione è cambiata con l'eurocrisi. La regolamentazione della politica del lavoro è stata spostata dal livello nazionale a quello europeo. Sempre più spesso, infatti, gli Stati membri sono stati privati della possibilità di plasmare direttamente e attivamente la direzione politica in materia di politica del lavoro. Sempre piu' spesso è stato loro applicato un "corsetto" liberale di mercato, come dice uno degli oltre 30 esperti UE intervistati da Syrovatka. La politica del lavoro è diventata sempre più esecutiva e sempre meno controllabile democraticamente.

Certo, la forma specifica e la direzione della politica del lavoro europea talvolta sono state molto contestate. Tuttavia, una rete di attori neoliberali è riuscita ad affermarsi sugli attori della regolamentazione sociale. Nella prima fase, che Syrovatka fa risalire al periodo compreso tra il 2009 e il 2014, i neoliberisti non sono stati né in grado né disposti a fare concessioni: "Piuttosto, la pratica dominante dell'esercizio del potere ha consistito in una divisione e smobilitazione permanente degli attori della regolamentazione sociale".

Nella seconda fase, dal 2014 in poi, tuttavia, la resistenza della rete di attori sociali e normativi si è rafforzata e le politiche del lavoro neoliberiste sono state attuate in misura minore. Il successo nel dividere e smobilitare gli attori sociali e normativi è stato sempre minore. Allo stesso tempo, la coerenza interna del blocco di potere neoliberale ha iniziato a sgretolarsi. Di conseguenza, la rete degli attori sociali e normativi è riuscita a partire dal 2017 a strappare alcune concessioni agli attori neoliberali grazie ad una "offensiva di politica sociale. Le misure di politica sociale che sono state approvate includono, ad esempio, la revisione della direttiva sul distacco dei lavoratori e la proposta di direttiva per un salario minimo europeo.



La rete degli attori neoliberali è riuscita ad imporre una narrativa che vede la causa della crisi essenzialmente nella mancanza di competitività dovuta a costi salariali troppo elevati. Di conseguenza, l'attenzione si è concentrata sul deficit delle partite correnti, che in tempi di crisi rischia di verificarsi nelle economie periferiche come Portogallo, Spagna o Grecia. Questo perché questi Paesi hanno avuto uno sviluppo relativamente debole della loro capacità produttiva e restano strutturalmente dipendenti dalle importazioni.

La caratteristica specifica dell'Eurozona - la stessa moneta per tutti - si esprime nella mancanza di sovranità monetaria degli Stati dell'Eurozona. I Paesi periferici sono quindi privati della possibilità di aumentare il saldo delle partite correnti attraverso la svalutazione della moneta. Ai Paesi dell'euro, fortemente colpiti dalla crisi, resta quindi solo la possibilità di aumentare le esportazioni attraverso una svalutazione interna. Ciò significa che la domanda dovrà essere radicalmente smorzata dai tagli salariali.

"Più un paese era integrato perifericamente nella divisione europea del lavoro, più era probabile che fosse incoraggiato dalle istituzioni europee a intraprendere delle riforme di politica del lavoro e maggiori interventi di politica del lavoro".

Di conseguenza, sono stati soprattutto i Paesi del Sud Europa, già integrati in maniera periferica, a subire una maggiore deregolamentazione, flessibilizzazione e liberalizzazione dei rapporti di lavoro. Come conseguenza, lo sviluppo ineguale all'interno dell'UE e il relativo divario tra centro e periferia si sono ulteriormente intensificati.

Syrovatka individua nel "capitale europeo industriale e organizzato, orientato al mercato mondiale" la forza trainante della NEA. Questo è stato in grado di dominare la rete degli attori neoliberali durante il periodo in esame e di esercitare una notevole influenza sul processo di definizione dell'agenda politica. Sono stati soprattutto gli Stati membri dell'UE del Nord Europa, orientati all'export, ad articolare gli interessi e le iniziative del capitale industriale europeo. Il blocco di potere del Nord Europa è stato guidato dal governo tedesco. D'altro canto, i Paesi dell'Europa meridionale e la Francia si sono dimostrati ampiamente incapaci di attuare una contro-strategia efficace.

Già all'inizio della crisi, infatti, il capitale industriale è riuscito a consolidare il proprio orientamento strategico e a inserire la gestione della crisi in una strategia offensiva dell'UE. L'obiettivo è stato quello di imporre il progetto di "salvataggio dell'euro" nel loro interesse. Vale a dire: evitare il collasso dell'Eurozona e allo stesso tempo utilizzare la crisi per la ristrutturazione competitiva dell'UE. Syrovatka valuta questo obiettivo come ampiamente raggiunto.

La doppia deindustrializzazione del Sud

Syrovatka sottoliinea che è soprattutto il capitale industriale europeo orientato all'export che riesce a far valere i propri interessi attraverso la NEA. Questa intuizione tuttavia non emerge con altrettanta chiarezza in tutti i punti. Si parla anche di capitale industriale europeo o solo di capitale industriale. Sembra quindi ancora più utile esaminare da vicino le componenti del capitale industriale da suddividere in capitale industriale domestico e capitale industriale orientato al mercato mondiale. La suddivisione del processo di NEA in diverse fasi suggerisce inoltre di evidenziare i cambiamenti temporali nella produzione industriale e le lotte sociali che ne sono alla base.



Il processo di ripresa dimostra quindi che - anche se con un po' di ritardo - la svalutazione interna attraverso gli strumenti della NEA ha funzionato? I Paesi dell'Europa meridionale hanno raggiunto con successo il processo di svalutazione interna che la Germania ha attuato negli anni 2000 con le riforme dell'Agenda 2010? All'epoca, Hartz IV e altre politiche economiche orientate all'offerta hanno portato a uno sviluppo deflazionistico dei salari che ha reso la Germania il "campione mondiale dell'export".



Ma se si guarda allo sviluppo di Grecia, Spagna e Portogallo nel contesto del processo di integrazione europea, si dubita che possano seguire il percorso tedesco.

Rispetto alla Germania, i Paesi dell'Europa meridionale hanno vissuto un processo di integrazione quasi inverso, che ha portato a una costellazione di politiche del lavoro diverse da quella dell'economia tedesca. Mentre la Germania, in quanto membro fondatore della Comunità europea del carbone e dell'acciaio ha potuto svolgere un ruolo decisivo nel plasmare l'intero processo di integrazione europea in favore del capitale industriale locale, a Grecia, Spagna e Portogallo è stato negato un simile sviluppo. Al contrario, l'economista politico Etienne Schneider ipotizza che gli europei meridionali abbiano subito due processi di deindustrializzazione con l'adesione alla Comunità economica europea (CEE) e successivamente all'UE. [2]

Con l'adesione alla CEE, infatti, gli europei meridionali hanno perso importanti barriere commerciali ed eventuali misure protezionistiche per sviluppare la loro base industriale relativamente debole. Queste economie si sono trovate in gran parte indifese contro la concorrenza dei prezzi e le acquisizioni da parte di aziende orientate al mercato mondiale provenienti dalle economie dell'Europa centrale. Con l'adesione all'UE e l'adozione dell'euro, è stato avviato il secondo processo di deindustrializzazione. Questo ha eliminato l'ultimo strumento di protezione dell'industria nazionale: la svalutazione del tasso di cambio.

Così, mentre l'industria tedesca altamente sviluppata è stata in grado di compensare il crollo della domanda interna causato dalle riforme dell'Agenda 2010 esportando all'estero, ciò non è stato possibile per i Paesi del Sud Europa, già doppiamente deindustrializzati. Per il capitale industriale orientato all'esportazione non è mai stato possibile emergere su larga scala nell'Europa meridionale. All'epoca dell'introduzione degli strumenti NEA, il capitale industriale nazionale era principalmente orientato al mercato interno. Quando la domanda interna è crollata a causa della svalutazione interna, è seguita un'ondata di fallimenti che ha colpito le imprese industriali del sud.

La ripresa della base industriale dell'Europa meridionale a partire da inizio/metà anni "10 ha quindi poco a che fare con la NEA, ma è dovuta principalmente a spostamenti di forze nazionali ed europee. Da un lato, le politiche del lavoro neoliberali si sono indebolite a partire dal 2014 grazie al rafforzamento degli attori sociali di regolamentazione. Dall'altro lato, si sono verificati importanti cambiamenti nei parlamenti dell'Europa meridionale. È vero che il movimento di sinistra Syriza non è riuscito a contrastare i programmi di austerità dell'UE durante il periodo di governo dal 2015 in poi. E anche in Spagna un governo social-regolatore è fallito a causa delle dispute tra i socialdemocratici e il movimento Podemos.

In Portogallo, invece, le cose sono andate diversamente. Dopo un rigido programma di austerità iniziato nel 2010, il governo portoghese è stato in grado di imporre un maggiore margine di manovra nella politica del lavoro e in quella fiscale. Questo si è concretizzato con l'insediamento nel 2015 di un governo "anti-liberista" che ha avviato una serie di importanti misure di riforma, tra cui l'aumento degli stipendi nel settore pubblico, l'inversione dei tagli alle pensioni adottati dal governo precedente e l'aumento del 25% annuo del salario minimo. A ciò è seguito un processo di ripresa relativamente forte, non solo nella produzione industriale, ma anche nella disoccupazione e nell'andamento dei salari.

Lo studio di Syrovatka è anche un monito

Lo studio di Felix Syrovatka offre un importante contributo agli studi critici europei. Riesce a rendere visibile lo spostamento spaziale e temporale dell'equilibrio di potere nella politica del lavoro all'interno delle istituzioni europee e degli Stati membri. Come dimostra la mancanza di classificazione delle componenti del capitale industriale, manca un po' di differenziazione in alcune sue parti. Ma lo stesso Syrovatka sottolinea la difficoltà di cogliere in modo esaustivo i cambiamenti politici ed economici all'interno degli Stati membri in considerazione del quadro incentrato sull'UE.

Tuttavia, egli crea preziosi punti di contatto per la ricerca critica europea. Soprattutto in tempi di alti tassi di inflazione, gli attori neoliberali cercano sempre più di attaccare la capacità di determinazione salariale dei sindacati. Di conseguenza, lo studio di Syrovatka va inteso anche come un avvertimento su ciò che può accadere quando i salari vengono messi sotto attacco.

martedì 4 aprile 2023

Wolfgang Streeck - Germans to the front! (parte seconda)

"Nel complesso, dopo le elezioni americane di metà mandato, sembra esserci stato uno sforzo congiunto da parte degli Stati Uniti e della NATO per portare la Germania nella guerra...una Germania che negli episodi del Nord Stream e del Leopard 2 è stata sufficientemente umiliata in maniera pubblica da aver capito che, se non vuole essere messa alle strette dagli Stati Uniti, deve essere pronta a guidare l'Europa per suo conto" scrive il grande intellettuale tedesco Wolfgang Streeck. Per Streeck potrebbe essere proprio la Germania, sotto la pressione americana, a prendere la leadership nella guerra in Ucraina. Ne scrive Wolfgang Streeck su Makroskop.de

La leadership tedesca ovvero il nuovo desiderio di eroismo

Per la coalizione di governo tedesca, ma anche per l'amministrazione Biden, una questione cruciale in merito all'assegnazione alla Germania della leadership è se il pacifismo postbellico del Paese è ancora abbastanza forte da ostacolarla. Forse non è più così. L'abolizione del servizio di leva sembra aver reso più facile - non diversamente dagli Stati Uniti - considerare le guerre come un mezzo appropriato al servizio del bene: a differenza di quanto accade in Ucraina, in Germania i figli, gli amici, i mariti non corrono il rischio di dover partire per la guerra.

In gran parte delle giovani generazioni, c'è un idealismo morale che copre il crudo materialismo dell'uccidere e del morire. All'interno e intorno ai Verdi tedeschi, dall'inizio della guerra è emersa una sorta di nuova voglia di eroismo in una generazione che fino a poco tempo fa era considerata decisamente post-eroica. Non ci sono più i genitori, e nemmeno i nonni che possono raccontare in prima persona la vita e la morte in trincea. Si sogna apparentemente un tipo di guerra sterilizzata, rigorosamente secondo la Convenzione dell'Aia, almeno da parte nostra: non più una questione di guerra e di pace, ma di colpa e di espiazione, con l'obiettivo finale, che vale centinaia di migliaia di vite, di mettere Putin sotto processo.

Forse sono in gioco anche fattori specificamente tedeschi. Nella generazione verde, più che altrove in Europa, il nazionalismo come fonte di integrazione sociale è stato sostituito da un manicheismo pervasivo che divide il mondo, sia tra i Paesi che al loro interno, in due campi: il bene e il male. È giunto il momento di esaminare e comprendere questo cambiamento nello Zeitgeist tedesco, apparentemente avvenuto in modo insidioso e in gran parte inosservato. Le sue implicazioni politiche potrebbero includere il fatto che, diversamente da un mondo di nazioni, non ci può essere una pace basata su un equilibrio di forze e interessi, bensì una lotta senza quartiere contro le forze del male, definite sommariamente "fascismo", essenzialmente le stesse a livello internazionale e nazionale.




La somiglianza con le idee politiche americane è inconfondibile, sia con i neocon che con i democratici idealisti, incarnati ad esempio da Hilary Clinton. A sinistra dello spettro politico tedesco, la sindrome sembra essere particolarmente pronunciata, laddove in passato sarebbe stata la base naturale di un movimento contro la guerra e per la pace o almeno per il cessate il fuoco. Oggi, invece, nemmeno la Linke si è sentita in grado di appoggiare la manifestazione per la pace organizzata da Sahra Wagenknecht e Alice Schwarzer il 25 febbraio scorso, anche a rischio di spaccare il partito cessandone l'esistenza in quanto forza politica.

Nel dopoguerra, inoltre, i tedeschi hanno avuto a lungo la tendenza ad ascoltare con simpatia i non tedeschi che imputavano loro presunti deficit morali collettivi e chiedevano loro, in una forma o nell'altra, una certa umiltà. Non c'è altra spiegazione per la straordinaria popolarità del già citato ambasciatore ucraino in Germania, Andrey Melnyk, fan sfegatato del terrorista, collaborazionista nazista e criminale di guerra Stepan Bandera e del suo collega alla guida dei nazionalisti ucraini nel periodo tra le due guerre e sotto l'occupazione tedesca, anch'egli di nome Andrey Melnyk. Su Twitter, Melnyk ha incessantemente rimproverato i politici tedeschi, dal presidente tedesco Steinmeier in giù, di non essersi sufficientemente schierati con l'Ucraina, con un linguaggio che avrebbe portato alla revoca del suo accreditamento in qualsiasi altro Paese. Non passava una settimana senza che Melnyk venisse invitato a uno dei regolari talk show televisivi in cui accusava ripetutamente i politici tedeschi di una cospirazione genocida con la Russia contro il popolo ucraino.

Anche dopo l'ascesa alla carica di viceministro degli Esteri del suo Paese nell'autunno del 2022, Melnyk ha continuato a svolgere un ruolo di primo piano nel dibattito tedesco sugli obblighi del Paese nei confronti dell'Ucraina. Ad esempio, in riferimento a un articolo della Süddeutsche Zeitung in cui Jürgen Habermas, troppo misurato e tardivo agli occhi di molti, aveva sostenuto la necessità di un cessate il fuoco in Ucraina per consentire i negoziati di pace ha twittato:

"Che anche Jürgen Habermas sia così sfacciatamente al servizio di Putin mi lascia senza parole. È una vergogna per la filosofia tedesca. Immanuel Kant e Georg Friedrich Hegel si rivolterebbero nella tomba dalla vergogna".

(Un altro esempio del tono della discussione pubblica tedesca è il tweet di un giovane, alquanto mediocre, probabilmente impegnato in un tour finalizzato al marketing, il cosiddetto commediante Sebastian Bielendorfer: "Sahra Wagenknecht è semplicemente il guscio vuoto di un ammasso di cellule intellettualmente e umanamente completamente degenerato. Non dovrebbe essere invitata ai talk show, dovrebbe essere curata". Un giorno dopo: "Twitter ha cancellato il tweet. Deplorevole. La verità rimane").

Nel complesso, dopo le elezioni americane di metà mandato, sembra esserci stato uno sforzo congiunto da parte degli Stati Uniti e della NATO per portare la Germania nella guerra, facendolo in modo sempre più esteso e attivo. Altri Paesi europei nell'ultimo anno hanno imparato a mandare avanti la Germania in modo da poter restare loro stessi ai margini (Paesi Bassi) oppure per poter perseguire i propri interessi con maggiori possibilità di successo (Polonia e Paesi baltici). La Germania, a sua volta, stanca di essere spinta in avanti da altri, potrebbe essere sempre più propensa a spingere in avanti se stessa. Già nel 2022, i principali rappresentanti della socialdemocrazia, tra cui il nuovo leader del partito Lars Klingbeil, parlavano apertamente del fatto che la Germania dovesse assumere un ruolo di leadership in Europa e che fosse pronta a farlo.




È importante notare che in questo contesto la Francia non viene più menzionata. Dopo aver finto per troppo tempo di non essere coinvolta, la Francia ora potrebbe essere sempre più trattata come tale da una Germania messa alle strette. Il possibile ruolo che la Germania potrebbe assumere in questo processo sarebbe quello di un subappaltatore politico e militare privilegiato degli Stati Uniti - una Germania che negli episodi del Nord Stream e del Leopard 2 è stata sufficientemente umiliata in maniera pubblica da aver capito che, se non vuole essere messa alle strette dagli Stati Uniti, deve essere pronta a guidare l'Europa per suo conto. In questo ruolo, la Germania però riceverebbe gli ordini da Washington attraverso Bruxelles, intendendo con Bruxelles non l'UE ma la NATO, una catena di comando emergente visualizzata dalla disposizione dei posti alle conferenze di Ramstein, con Stati Uniti, Ucraina e Germania in testa. In tale funzione evolutiva, la Germania però avrebbe il compito di racimolare e pagare le armi che le forze ucraine ritengono necessarie per la vittoria finale - con il rischio, qualora questa non si concretizzi, di essere ritenuta colpevole, al posto degli Stati Uniti, di incompetenza, vigliaccheria, avarizia e, naturalmente, simpatia per il nemico.

Col tempo, la partecipazione indiretta della Germania alla guerra potrebbe diventare sempre più diretta e svilupparsi in modo simile al suo ruolo di fornitore di armi. Già oggi un numero considerevole di soldati ucraini viene addestrato in Germania, nelle basi americane ma sempre più anche in quelle della Bundeswehr, e non pochi tedeschi, per lo più di destra, combattono nelle legioni internazionali con l'esercito ucraino. Presto i Leopard, una volta arrivati sul campo di battaglia, dovranno essere revisionati e riparati, il che potrebbe richiedere il loro ritorno in Germania. Rheinmetall ha annunciato che aprirà in Ucraina una fabbrica per costruire circa 400 carri armati Leopard all'anno, apparentemente partendo dal presupposto che la guerra durerà abbastanza a lungo da permettere ai carri armati prodotti in Ucraina di essere messi in servizio per i propri scopi e rendere la fabbrica redditizia. Naturalmente, la fabbrica dovrà essere protetta da difese aeree - preferibilmente, presumibilmente, da squadre tedesche esperte. Per quanto riguarda i velivoli da combattimento, la cosa più sicura è che siano posizionati lontano dai campi di battaglia, magari in Renania, dove esistono già le strutture necessarie per la loro manutenzione. Gli esperti di diritto internazionale discuteranno se tale supporto renda o meno un Paese belligerante, ma alla fine sarà la Cina, e non un tribunale, a decidere quali azioni la Russia potrà intraprendere in risposta.

Per l'Unità dell'Occidente

La visita a sorpresa di Scholz a Washington il 4 marzo, durante la quale nessuna delle due parti ha rivelato informazioni su ciò che è stato discusso in privato durante gli ottanta minuti di colloquio con Biden, potrebbe essere servita a Biden per dare una lezione a Scholz e spiegargli cosa ci si aspetta dalla Germania se vuole essere un alleato affidabile dell'Occidente, dal punto di vista politico, materiale e militare. Questo poteva anche essere il momento per ancorare il governo tedesco alla "narrazione" che i servizi segreti americani hanno sviluppato per contrastare il Rapporto Hersh. Ai tedeschi potrebbe essere stato detto che questo è il risultato preliminare ufficiale della loro indagine, con l'obiettivo di sottoporli a un altro test quia-absurdum per scoprire quanto sono disposti ad accettare per il bene dell'unità dell'"Occidente".

Forse si è parlato anche di cosa fare quando non si potrà più nascondere la saggezza alquanto banale espressa da tutti gli esperti militari, vale a dire che una guerra di terra può essere vinta solo sul terreno. Al più tardi, allora, si dovrà affrontare la questione di come rimpiazzare i molti soldati ucraini morti, feriti o che hanno disertato. Forse è arrivata l'ora di un "esercito europeo", addestrato dalla Bundeswehr ed equipaggiato a spese dei tedeschi con prodotti di qualità di Rheinmetall e altri? Seguendo il modello del primo esercito europeo, le legioni romane multinazionali, le truppe potrebbero essere reclutate come volontari nei Paesi dell'Europa dell'Est o tra i potenziali immigrati di altri Paesi, ai quali verrebbe concessa la cittadinanza europea dopo il servizio. I comandanti sul campo di battaglia, essenziali anche nell'era dell'intelligenza artificiale, potrebbero avere due passaporti, il loro primo e un altro ucraino rilasciato di recente. Poiché gli ucraini, secondo la von der Leyen, stanno dando la loro vita per i nostri "valori", la Germania non sarebbe costretta a reintrodurre il servizio militare obbligatorio, rischiando così di perdere il sostegno popolare per la sua partecipazione alla guerra. D'altra parte, non si sa mai, soprattutto in tempo di guerra.

C'è naturalmente un'altra strada percorribile che vede la Germania come franchisee europeo degli Stati Uniti. Le richieste sempre più pressanti e incessanti del governo ucraino di avere un numero sempre maggiore di armi sembrano aver portato a una certa esasperazione da parte degli americani nei confronti del loro alleato ucraino. Soprattutto perché la volontà del Congresso di continuare a finanziare la guerra sta diminuendo. Sullo sfondo, potrebbe esserci anche il ricordo della richiesta pubblica del Presidente Selenskiy di avviare una rappresaglia nucleare da parte degli Stati Uniti per un presunto missile russo atterrato sul suolo polacco, che poi si è rivelato essere un missile ucraino errante. A ciò si aggiunge la richiesta pubblica di bombe a grappolo che potrebbe essere scaturita dalla momentanea esuberanza per il successo del Leopard 2. Il fatto che il resoconto alternativo della distruzione dei gasdotti Nord Stream, apparentemente fabbricato dall'intelligence americana, contenga un riferimento all'Ucraina può essere interpretato come un segnale di avvertimento al governo di Kiev.




Ritirandosi dal comando operativo della guerra in Ucraina e consegnandolo alla Germania, gli Stati Uniti potrebbero risparmiarsi l'imbarazzo di dover dire a Kiev che il sostegno occidentale ai suoi obiettivi bellici più ambiziosi non è illimitato. La Germania, da parte sua, potrebbe provare a fare quello che a volte fanno gli agenti quando il loro capo non può controllare nel dettaglio come svolgere la propria missione. Se la Germania assumesse la guida europea della NATO su richiesta degli Stati Uniti, potrebbe trovarsi nella posizione di resistere ai tentativi ucraini di trascinarla sempre piu' a fondo nella guerra e di cercare qualcosa di simile a un accordo sulla falsariga degli accordi di Minsk, oltre al semplice congelamento del conflitto. Aiutando gli Stati Uniti a liquidare in maniera parziale la loro posizione in Ucraina, potrebbero fare loro un favore e riaccendere una bella amicizia.

Se la Germania sarà effettivamente in grado di farlo dipenderà non da ultimo anche dalla capacità di raffreddare il nuovo entusiasmo per la guerra che coinvolge soprattutto la parte verde dell'opinione pubblica tedesca. Baerbock e i suoi sostenitori denunceranno come tradimento e disprezzo per la volontà del popolo ucraino tutto ciò che non porterà a un cambio di regime a Mosca. Resta da vedere se gli spiriti che sono stati evocati per provocare l'inversione di tendenza potranno essere eliminati nel breve termine. La retorica del primo anno di guerra potrebbe aver escluso per un certo periodo di tempo qualsiasi tentativo di pacificazione che esclude una vittoria totale, il che nel breve termine renderebbe impossibile porre fine al massacro, anche se gli Stati Uniti perdessero interesse in tal senso.

Inoltre, facendo saltare i gasdotti, la Germania probabilmente è stata deliberatamente privata dell'opportunità di offrire alla Russia la ripresa delle forniture di gas in cambio della sua partecipazione a qualcosa di simile a un processo di pace - per non parlare della vasta gamma di sanzioni economiche definite dagli Stati Uniti.

Durante la rivolta dei Boxer nel 1900, la Forza di spedizione europea, guidata da Sir Edward Hobart Seymour, ammiraglio della Royal Navy, era in viaggio da Tientsin a Pechino. Poco prima di raggiungere la destinazione, incontrò una forte resistenza cinese. Nel momento del bisogno, l'ammiraglio Seymour diede l'ordine al comandante del contingente tedesco, il capitano von Usedom: "The Germans to the front!". La tradizione militare tedesca con orgoglio considera questo episodio come un momento di supremo riconoscimento internazionale dell'abilità militare tedesca. A volte la storia si ripete.



mercoledì 3 marzo 2021

Perché l'esportismo tedesco resta un pericolo per la democrazia

Il giornalista e scrittore tedesco Herbert Storn ci spiega i pericoli di un modello di crescita tutto basato sull'export e sull'avanzo commerciale con l'estero, come quello tedesco.  Una riflessione molto interessante sugli effetti della politica del "Germany First" di Herbert Storn, da Makroskop.de



È indiscutibile che il modello fondato sul surplus commerciale con l'estero si basi sull'idea della concorrenza - qualcuno vince a spese di qualcun'altro (beggar-my-neighbour). E qui non sono di nessun aiuto le argomentazioni di teoria economica sul libero scambio come elemento di sviluppo per tutti i "partner" coinvolti e non serve a nulla ripetere a mo' di preghiera la possibilità di un "win-win" reciproco.

Alla base dei valori della democrazia, tuttavia, ci sono la cooperazione, il consenso e la protezione delle minoranze. Il solo esercizio verbale di questi concetti  purtroppo non è sufficiente!

Questa contraddizione fondamentale è aggravata dall'aggressività che accompagna la concorrenza di tipo capitalista con la tipica lotta sui prezzi, il dumping salariale, le acquisizioni, l'outsourcing, i licenziamenti dei dipendenti e la formazione dei monopoli.

Anche il MEMORANDUM ha ripetutamente criticato l'aggressiva politica commerciale portata avanti per molti anni dalla Germania, considerandola responsabile del rafforzamento delle forze e dei partiti antidemocratici in Europa, e in Germania di AfD (Memo 2018): se l'economia interna continua a trasferire reddito dal lavoro al capitale e lo Stato è incatenato da una controproducente politica di freno all'indebitamento, questa situazione contribuirà ad una ulteriore divisione economica e politica.

Queste fondamentali contraddizioni del modello basato sul surplus commerciale mettono continuamente in discussione l'approvazione della popolazione nei confronti di questo tipo di politica. Le contraddizioni devono quindi essere nascoste oppure essere negate attraverso la tipica ideologia di "autodifesa" come ad esempio:

- Il nostro modello di crescita e stile di vita sarà sostenibile solo se restiamo i migliori!

- Se vogliamo mantenere il nostro modello di stato sociale, a livello internazionale dobbiamo essere davanti a tutti!" 

In questo modo non è possibile sviluppare e comunicare alcuna strategia. Le alternative basate sulla solidarietà hanno poche possibilità, a dominare sono la concorrenza e l'ipocrisia. Nel frattempo, però, i lavoratori di interi settori vivono e guadagnano al di sotto del livello che sarebbe loro possibile se solo il modello fondato sul surplus delle esportazioni venisse messo in discussione e sostituito da una strategia equilibrata maggiormente orientata alla domanda interna, in linea con la legge della stabilità.

Ma se la competitività aziendale diventa la misura principale dell'efficacia politica, allora diventa anche chiaro quali dovrebbero essere le priorità dei governi federali e statali. Ed è qui che bisognerebbe utilizzare il ritorno sul capitale come metrica. Il rendimento medio sul patrimonio netto delle aziende tedesche nel periodo dal 2005 al 2016, infatti, è stato del 23,2% prima delle tasse, e del 18,2% dopo le tasse.

In un tale quadro, i rendimenti del 25 % richiesti in maniera magniloquente nel 2009 dall'allora capo della Deutsche Bank, Josef Ackermann, potevano essere addirittura comprensibili. Ma tali rendimenti possono essere raggiunti solo con una politica aziendale corrispondentemente aggressiva a spese della collettività, il che in democrazia può portare rapidamente a dei disordini.

Il danno collaterale di una cosiddetta politica di Germany First è che per essere attuata richiede somme di denaro sostanziali che mancheranno altrove. Tutto ciò si riflette in infrastrutture trascurate, in tagli massicci fra i dipendenti dello stato fino alle sue istituzioni di controllo, in un sistema scolastico trascurato (evidente nella crisi causata dal Coronavirus, non ultimo nelle attrezzature informatiche), in ospedali dove mancano 100.000 infermieri e in una politica fiscale e sociale che coccola le aziende e discrimina i beneficiari di Hartz IV, solo per evidenziare alcuni punti salienti.

In Germania, l'antica fissazione sugli avanzi commerciali è aggravata da una seconda fissazione ideologica, vale a dire l'opinione che il settore privato possa "fare" meglio dello stato, spingendo il governo addirittura a sostenere la massima "il privato prima dello stato". (...)

Nel 2011 nella Costituzione dell'Assia è stato addirittura aggiunto un ulteriore "divieto di indebitamento", vale a dire una ulteriore leva per lo snellimento automatico dello Stato tramite lo strangolamento dei margini di bilancio. E' del fondatore della Fondazione Bertelsmann, Reinhard Mohn, la famosa frase secondo cui sarebbe una benedizione se lo stato finisse i soldi. Cosi', Arvato, la controllata di Bertelsmann potrà prendere il suo posto e persino arrivare a guadagnare dei soldi esercitando alcune funzioni dello stato.

Ma quanto piu' si privatizza, tanto meno saranno gli argomenti su cui è possibile decidere democraticamente!

I principali sostenitori di questa strategia sono la CDU e la FDP. Ma anche i Verdi, sin dalla loro fondazione nel 1980 hanno sempre di più abbandonato le loro rivendicazioni sociali - uno dei loro quattro obiettivi originali (ecologia, sociale, democrazia di base e non violenza) - in favore di uno scetticismo di fondo nei confronti dello stato. Non è una coincidenza che la CDU e i Verdi nel Baden-Württemberg e nell'Assia stiano così bene insieme. Con la SPD, lo stato avrebbe avuto un maggiore peso programmatico, ma questo peso viene impiegato per rafforzare l'economia tedesca.

La Germania in questo modo ha un consenso quadripartititico che individua la sua missione nel rafforzamento della competitività delle imprese tedesche sui mercati mondiali. Gli elettori possono solo scegliere fra accettare questo modello oppure essere ignorati. A fare in modo che ciò accada, ci penseranno i media.


Ma a rendere difficile l'influenza dell'elettorato sulla politica c'è anche qualcos'altro.

Se lo Stato e le grandi aziende sono unite dall'obiettivo condiviso della competitività globale, allora non ci sarà davvero bisogno del classico lobbismo. In questo caso, infatti, l'incastro fra il personale è appropriato e utile. Il veicolo comune per tutto ciò è noto come effetto delle porte girevoli, vale a dire il passaggio di personale da funzioni statali di primo piano al (lobbismo) per le aziende e viceversa. Gli esempi sono leggendari; il più recente e prominente può essere quello di Mario Draghi, passato dalla Banca Mondiale al Ministero delle Finanze italiano, poi a Goldmann Sachs, poi alla Banca Centrale Italiana, alla BCE, e ora alla carica di primo ministro italiano.

Poiché l'effetto delle porte girevoli non è sufficiente per servire nel dettaglio i multiformi interessi delle aziende, i politici eletti hanno bisogno anche di consiglieri. Ma coloro che potrebbero fornire una visione controversa e scelte alternative per il bene comune, si trovano invece di fronte ad un esercito di generalisti e specialisti molto preparati.

Per il ruolo di "consulenti" la maggior parte delle persone tende a immaginarsi degli individui o dei piccoli uffici. In realtà si tratta di grandi multinazionali che massimizzano il profitto e sono anche specializzate in vari campi di attività: le agenzie di rating, gli studi di contabilità, gli studi legali e i consulenti di gestione.

Nel complesso, il loro numero di dipendenti raggiunge probabilmente i due milioni. Il nuovo segretario generale della CDU, Paul Ziemiak, in passato ha lavorato per la società di revisione Pricewaterhouse Coopers. Il senatore alle finanze di Berlino Matthias Kollatz, della SPD, in precedenza ne era stato un consulente senior. L'amministratore delegato Stefanie Frensch dell'azienda statale berlinese per la costruzione di alloggi Howoge è arrivata da Ernst & Young Real Estate GmbH per poi passare a una società immobiliare privata. Il suo successore Ulrich Schiller proviene dalla società di edilizia privata Vonovia, prima della quale era stato amministratore delegato per il predecessore di Vonovia, Deutsche Annington.

Questi sono solo alcuni degli esempi che dimostrano quanto sia naturale cambiare carriera passando da aziende orientate al profitto ad aziende pubbliche che invece dovrebbero esssere maggiormente impegnate nel perseguimento del bene comune, e viceversa. Werner Rügemer ha aggiornato un'altra volta il ruolo di cerniera tra le strategie aziendali e la politica nel suo libro "I capitalisti del XXI secolo". Egli definisce il coordinamento degli interessi dei capitalisti con quelli della politica "l'esercito privato del capitale transatlantico":

"Il loro staff è composto da professionisti laureati e ben retribuiti, provenienti dalle più prestigiose università private e pubbliche e dalle business school, addestrati ad avere un'immagine elitaria di sé. Sono gli attori di uno stato che nelle principali democrazie occidentali capitaliste è ormai ampiamente privatizzato ".

E anche la Corte dei conti federale afferma che il permanente ricorso da parte dello Stato a delle società di consulenza esterna aumenta il rischio legato al controllo delle attività e porta ad una perdita della capacità di controllare la società da parte della politica. Non è la politica a sostenere le aziende, ma sono le aziende stesse che fanno politica e spesso presentano ai politici il fatto compiuto.

Rudolf Hickel del gruppo di lavoro „Alternative Wirtschaftspolitik“ ha descritto i rappresentanti eletti dal popolo come dei "nani del sistema capitalista". Harald Schumann nel 2016 ha parlato di capitolazione della classe politica. Aveva capito che sono proprio i ricchi e i loro fiduciari alla guida delle grandi aziende che possono influenzare l'opinione pubblica in modo molto significativo. Perché non solo hanno gli investimenti, ma anche i mezzi per creare il giusto clima sociale.

Del resto la questione è stata sottolineata anche dal cabaret politico: "La democrazia arriva dal popolo. Ma per andare dove?".