martedì 15 maggio 2018

Divisi dalle guerre commerciali

Ottima sintesi di German Foreign Policy sull'ampliarsi delle fratture politiche ed economiche che allontanano sempre di piu' Berlino da Parigi. Macron ha perso la speranza e non crede piu' alla riforma dell'eurozona, mentre sull'altro lato dell'Atlantico gli americani danno la caccia all'ex ceo di VW, Winterkorn. Nel frattempo gli industriali tedeschi prima accusano gli americani ma poi chiedono misure protezionistiche sull'acciaio. Da German Foreign Policy


Crepe fra Parigi e Berlino

Anche dopo il posticipo di un mese accordato dalla Casa Bianca a Bruxelles fino al primo di giugno, nell'ambito della guerra commerciale fra gli Stati Uniti e l'UE, le tensioni commerciali continuano a crescere - soprattutto all'interno dell'UE. Se Donald Trump con la sua minaccia di imporre tariffe punitive sull'alluminio e l'acciaio aveva intenzione di dividere l'Europa, allora questa tattica ha avuto successo, scriveva Handelsblatt ad inizio maggio [1]. Germania e Francia perseguono "interessi diversi"; e cio' fra gli imprenditori tedeschi aumenta la paura di una guerra commerciale. Le "crepe" fra Berlino e Parigi sarebbero sorte in merito alla risposta da dare alla minaccia americana di imporre delle tariffe sulle importazioni. Il confidente di Merkel e ministro dell'economia tedesco Peter Altmaier appoggia un accordo di libero scambio con Washington, che nei fatti costituirebbe una versione ancora piu' estrema del fallito accordo transatlantico per il libero scambio TTIP. La Francia invece rifiuta di aprire un negoziato "sotto minaccia" e chiede che le imprese europee abbiano accesso al mercato agricolo degli Stati Uniti, come oggetto di un possibile accordo di libero scambio, oltre a chiedere l'apertura, anche per le imprese dell'UE, delle procedure per gli appalti pubblici negli Stati Uniti. Gli osservatori ipotizzano che la Casa Bianca difficilmente accetterà le richieste francesi.

Divergenze commerciali e di interessi

Sebbene Altmaier mantenga contatti permanenti con il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire, la spaccatura tra Parigi e Berlino persiste. Per capirne il motivo basta dare uno sguardo ai saldi commerciali di entrambi i paesi. La bilancia commerciale francese con gli Stati Uniti è quasi in pareggio, mentre la Germania ha un surplus commerciale di circa 50 miliardi di euro. Il volume delle esportazioni francesi negli USA ammonta a 34 miliardi di euro ed è solo un terzo delle esportazioni tedesche verso gli Stati Uniti. La dipendenza dell'economia tedesca dagli avanzi commerciali porta Berlino "ad entrare in conflitto non solo con la Francia, ma anche con la Commissione UE e molti altri stati membri", si dice. La Germania non avrebbe problemi a vivere con un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, riferisce un poltico europeo della CDU, il quale prosegue: "la Francia invece non potrebbe permetterselo"[2]. Per l'amministrazione Trump non si tratta solo di indebolire il WTO, ma anche l'UE, cercando di "rafforzare ed imporre gli interessi americani negli accordi bilaterali".

Nessuna compensazione

Le crescenti tensioni commerciali all'interno dell'UE si aggiungono alla disputa sull'ostruzionismo che i tedeschi esercitano in merito alla riforma dell'eurozona proposta dalla Francia. Il presidente Emmanuel Macron alla fine deve ammettere il fallimento della sua proposta di riforma con la quale intendeva introdurre dei meccanismi economici e finanziari per compensare le conseguenze della "Beggar-thy-Neighbour-Politik" di Berlino e gli effetti causati dalle sue estreme eccedenze commerciali. Macron nel frattempo "ha perso ogni speranza di raggiungere un accordo di vasta portata con la Cancelliera Angela Merkel in merito alla riforma della zona euro", riferisce il consigliere economico di Macron Patrick Artus [3]. Le riforme proposte da Macron, dopo aver sconfitto il candidato di destra Marine Le Pen, come ad esempio la creazione di un'assicurazione europea sui depositi oppure un ministro delle finanze europeo, dovrebbero funzionare come un antidoto contro la crescita delle destre estreme e contro i forti squilibri socio-economici esistenti fra la Germania e gran parte della zona euro, che di fatto costituiscono la base del dominio politico della Germania sul continente. [4] Dopo che Macron si è reso conto che con i suoi piani stava andando a sbattere contro "una forte resistenza di Berlino", vorrebbe ora "lanciare almeno un'offensiva per favorire maggiori investimenti nei progetti per il futuro dell'Europa", è scritto sempre facendo riferimento alle parole di Artus. Per quanto riguarda i "progetti per il futuro" si tratterebbe soprattutto degli ambiziosi progetti di difesa europea. [5] La politica militare e di riarmo resta nei fatti il solo ambito politico in cui Berlino è disposta ad intensificare la cooperazione con Parigi. 

Cospirazione per la truffa

Nel frattempo gli Stati Uniti stanno aumentando la pressione sull'élite imprenditoriale tedesca i cui alti funzionari si trovano attualmente nel mirino della giustizia americana. L'incriminazione del top manager tedesco ed ex CEO della VW Martin Winterkorn è stata accompagnata dalle "parole energiche" del  procuratore generale degli Stati Uniti Jeff Sessions, commentano i principali media tedeschi. L'ex CEO del Gruppo Volkswagen, nell'ambito dello scandalo del diesel, è accusato di  "cospirazione finalizzata alla truffa", reato per il quale - cosi' ha scritto letteralmente Sessions - pagherà un "prezzo molto alto". Winterkorn rischia fino a 25 anni di reclusione in una prigione statunitense.  La giustizia degli Stati Uniti ha già perseguito con l'accusa di truffa numerosi impiegati di alto livello del gruppo VW, due dei quali sono stati condannati a diversi anni di prigione. Il manager VW di lungo corso Oliver Schmidt nel dicembre 2017 è stato condannato a 7 anni di reclusione per "provata cospirazione finalizzata alla frode" e ad una multa di 400.000 dollari [7]. La difesa di Winterkorn si basa in gran parte sulla sua dichiarazione di aver appreso della manipolazione di milioni di veicoli solo nel mese delle sue dimissioni, cioè nel settembre 2015. L'accusa americana sostiene invece che fosse a conoscenza della frode di massa già dal maggio 2014.

Prosperità in pericolo

Di fronte alle crescenti tensioni sia all'interno dell'UE che nelle relazioni transatlantiche, cresce fra le élite economiche tedesche la paura di una guerra commerciale in piena regola. Dieter Kempf, Presidente della Bundesverbandes der Deutschen Industrie (BDI), mette in guardia dal rischio che la guerra commerciale con gli Stati Uniti possa innescare una dinamica globale che culminerebbe in una "ondata di contromisure protezionistiche" [8]. Gli economisti dell'Ifo Institute di Monaco di Baviera chiariscono che le dispute potrebbero diventare veramente pericolose, se ad essere trascinati nella guerra commerciale non ci fossero solo la UE e gli Usa, "ma anche altri paesi come la Cina": in quel caso "la nostra prosperità sarebbe davvero in pericolo". Nel frattempo, anche dall'interno dell'industria tedesca arrivano le prime richieste di misure protezionistiche [9]. In particolare l'industria dell'acciaio mette in guardia - con piu' forza da inizio maggio - da un "eccesso di importazioni" che potrebbe riversarsi sul mercato europeo; Hans Jürgen Kerkhoff, Presidente della Federazione tedesca dell'acciaio, si lamenta della rapida crescita delle importazioni di acciaio dalla Russia e dalla Turchia, che a loro volta sono state colpite dalle tariffe punitive degli americani. E' "del tutto realistico che i paesi che non possono piu' rifornire gli Stati Uniti a causa delle tariffe doganali, possano riversare il loro acciaio sul mercato europeo", dice Kerkhoff, il quale sottolinea il suo appello a favore "di misure di difesa nei confronti di tali effetti di re-indirizzamento". Mentre l'élite economica tedesca mette in guardia contro "un'ondata di misure protezionistiche", contemporaneamente si fa promotrice proprio delle stesse dinamiche protezionistiche.



[1], [2] Till Hoppe, Thomas Hanke, Ruth Berschens, Jens Münchrath: Looming US tariffs put strain on EU relations. global.handelsblatt.com 02.05.2018.

[3] Gerald Braunberger: "Macron hat die Hoffnung aufgegeben". faz.net 03.05.2018.

[4] S. dazu Wer das Kommando hat und Zuverlässig ausgebremst.

[5] S. dazu Die Rüstungsachse Berlin-Paris.

6] "Wer die Vereinigten Staaten zu betrügen versucht..." spiegel.de 04.05.2018.

[7] Deutscher VW-Manager in den USA zu sieben Jahren Haft verurteilt. spiegel.de 07.12.2017.

[8] Till Hoppe, Thomas Hanke, Ruth Berschens, Jens Münchrath: Looming US tariffs put strain on EU relations. global.handelsblatt.com 02.05.2018.

[9] Deutsche Stahlindustrie warnt vor Importschwemme. faz.net 07.05.2018.

domenica 13 maggio 2018

Bernd Lucke e l'incubo tedesco: "la BCE pronta ad acquistare titoli di stato greci"

Bernd Lucke, il fondatore di AfD, lancia l'allarme: la BCE sarebbe pronta ad acquistare titoli di stato greci, ormai è questione di settimane o mesi. Secondo il professore di Amburgo si tratterebbe di finanziare il debito pubblico di uno stato direttamente con il denaro della banca centrale, un incubo per i tedeschi. Ne parla Bernd Lucke su The European


Tra marzo 2015 e dicembre 2017, il Sistema europeo delle banche centrali (ESZB) sotto la regia della BCE ha acquistato 60 miliardi di euro al mese di obbligazioni nell'ambito dell'Expanded Asset Purchase Programme (EAPP, talvolta denominato Quantitative Easing QE). Da gennaio 2018 gli acquisti mensili sono scesi a 30 miliardi di euro. La parte del leone del programma, circa l'80%, è rappresentata dal Public Sector Purchase Program (PSPP) e dagli acquisti di obbligazioni del settore pubblico sul mercato secondario. Fino a gennaio 2018 erano state acquistate obbligazioni per circa 1.91 trilioni di euro. Il programma resterà ufficialmente attivo fino a settembre 2018 e un'estensione non è affatto esclusa. 

La decisione del board della BCE prevedeva originariamente che l'acquisto di obbligazioni venisse effettuato in conformità con le quote di capitale degli stati membri della zona euro. Questa linea guida era già di per sé un aiuto nei confronti dei paesi dell'eurozona fortemente indebitati, in quanto le quote di capitale tengono conto sia del PIL che della popolazione. Si è di conseguenza scelto di acquistare una percentuale maggiore di debito pubblico di quei paesi pesantemente indebitati, piu' di quanto sarebbe accaduto se gli acquisti fossero stati unicamente orientati al PIL.

La deviazione degli acquisti dalle quote di capitale della BCE

E' già abbastanza grave di per sé che una distorsione del programma sia pre-orientata e quindi non neutrale in termini di politica monetaria. Tuttavia, due studi di Friedrich Heinemann del Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung hanno mostrato che la BCE non ha rispettato nemmeno questa regola autoimposta. Nel corso del 2017 sono stati sovrappesati gli acquisti di obbligazioni belghe, austriache, francesi, italiane e spagnole. A causa della crescente scarsità di titoli acquistabili di altri paesi, si può' ragionevolmente ipotizzare che tale distorsione in futuro continuerà ad aumentare e gli acquisti si discosteranno sempre di piu' dalle quote di capitale. La distorsione sui nuovi acquisti si rifletterà inevitabilmente anche nei portafogli delle banche centrali dell'eurosistema. Questa conclusione vale anche se si tiene conto del fatto che i titoli di stato greci fino ad ora non sono stati  affatto acquistati.

La fine del programma di aiuti greco

Queste circostanze potrebbero cambiare a partire dall'estate del 2018. Nell'agosto 2018 terminerà infatti il terzo programma di salvataggio per il paese ellenico. La Grecia dovrebbe quindi tornare a procurarsi il denaro di cui ha bisogno sul mercato dei capitali. Grazie all'aiuto della BCE, per la Grecia potrebbe essere molto piu' semplice di quanto non possa sembrare. Infatti, se almeno una delle quattro principali agenzie di rating (Standard and Poor's, Moody's, Fitch e DBRS) desse alle obbligazioni greche almeno un rating di investment grade, diverrebbero immediatamente acquistabili nell'ambito del PSPP.

Quando è stato chiesto a Draghi un chiarimento in merito alle deviazioni degli acquisti dalle quote di capitale della BCE, egli ha brevemente risposto di non vederci alcun problema, almeno nella misura in cui gli stock di titoli acquistati non si discostino significativamente dalle quote di capitale. Cio' porta a concludere che la BCE a partire dall'estate potrebbe iniziare ad acquistare grandi quantità di titoli greci.

La BCE in estate acquisterà solo obbligazioni greche?

Nell'agosto 2018 lo ESZB avrà acquistato obbligazioni per 2.53 trilioni di euro. L'80% di questi acquisti sono eseguiti nell'ambito del PSPP, circa 2.02 trilioni di euro. Tenendo conto che i paesi non-euro detengono quote di capitale della BCE, che non vengono prese in considerazione, la quota di capitale greco è del 2.9%. Cio' significa che teoricamente sarebbe possibile acquistare obbligazioni greche per un totale di 59 miliardi di euro. Poiché fino ad ora nell'ambito del PSPP non sono state acquistate obbligazioni greche, il sistema delle banche centrali, per raggiungere la quota greca nella suddivisione del capitale dovrebbe quindi iniziare ad acquistare a breve e su larga scala titoli greci. Poiché gli acquisti di titoli dal gennaio 2018 sono stati ridotti ad un livello di 30 miliardi di euro mensili e secondo l'interpretazione che Draghi dà del programma le deviazioni di breve periodo dalle quote di capitale non hanno alcuna importanza, nei restanti 2 mesi verrebbero acquistati solo titoli di stato greci. Se il PSPP fosse esteso oltre settembre, la proporzione di obbligazioni greche sarebbe corrispondentemente piu' bassa. In cambio gli acquisti si estenderebbero per un periodo di tempo piu' lungo.

Cio significherebbe che la Grecia dopo la fine del programma di aiuti non avrebbe piu' bisogno di un mercato per potersi rifinanziare. Gli investitori potrebbero acquistare obbligazioni governative greche sul mercato primario, per rivenderle subito dopo alla BCE sul mercato secondario. Sarebbe una prova ulteriore del fatto che il programma non è affatto un'operazione di pura politica monetaria, piuttosto si tratta di finanziamento monetario agli stati.

Lo schwarze Null e il fallimento della socialdemocrazia

Nel rivendicare con orgoglio lo schwarze Null i socialdemocratici non riusciranno a  contrastare l'avanzata di AfD e si condanneranno all'irrilevanza politica. Perché fra l'austerità tedesca, l'avanzata di AfD e il tramonto della socialdemocrazia c'è un chiaro legame. Ne parla l'ottimo De Lapuente su Neuland Rebellen


Oh che bei tempi, quelli in cui il capo dei socialdemocratici eletto con il 100% dei voti dei militanti saliva sul podio e annunciava la lotta contro i populisti di destra. Voleva tenergli testa. Ne aveva abbastanza. Martin Schulz e i bei vecchi tempi andati, da poco - è difficile credere che le cose possano peggiorare cosi' alla svelta. Ovviamente non si doveva dare per scontato che il buon uomo avesse qualcosa di sostanziale da mostrare e soprattutto sapesse con quali mezzi poteva togliere acqua dal mulino di AfD. E' vero, si udivano frasi come quella secondo cui bisogna dare maggiore ascolto alle preoccupazioni e ai bisogni delle persone comuni, ma per il resto sembrava tutto un po' superficiale.

Una che all'epoca applaudiva sempre, quando l'uomo del 100% chiamava alla lotta contro le destre, era la donna del 66%, che nel frattempo è diventata la "Sozi" suprema del suo partito (Andrea Nahles). Anche lei approvava con entusiasmo quando si proclamavano gli slogan popolari, vale a dire quelli secondo cui in futuro bisognerà prendere i cittadini sul serio. E non appena la signora è stata cooptata ai vertici del partito ha voluto ricordare quello che a lei sembrava più urgente: lo zero nero, cara Cancelliera, cari colleghi e cari cittadini, ci sarà anche con noi socialdemocratici! Eccolo di nuovo, il complesso di inferiorità socialdemocratico, che spinge i compagni e le compagne all'ubbidienza. Non si vuole correre il rischio di dare troppo nell'occhio e risultare inaffidabili.

Non male, la metà delle ragioni per cui AfD è riuscita a diventare un fenomeno di massa hanno a che fare direttamente con lo zero nero, l'austerità e i diktat di risparmio. E cosa fa il nuovo vento della SPD: torna a ripetere che la parsimonia deve continuare. Vada come vada...

L'infrastruttura è obsoleta, i trasporti pubblici sono usurati, c'è carenza di personale e in alcuni ambiti i comuni, le regioni e il governo federale non svolgono più' i compiti loro assegnati. La polizia è al limite. Alle dogane mancano i dipendenti. Gli investigatori doganali in alcuni Laender sono ormai da tempo una professione estinta. Quello a cui stiamo assistendo è la trasformazione dell'austerità in un feticcio che ci porta sull'orlo del disastro. Il settore pubblico si sta prosciugando, i centri giovanili stanno chiudendo, le biblioteche non possono essere piu' finanziate e per nuotare bisogna andare in un paradiso termale privatizzato che offre i suoi servizi a costi sociali ridicolmente alti. Certo, ci sono posti di lavoro, diversi come non mai. Molti di questi pero' arrivano dal settore a basso salario. Li' la forza lavoro viene svenduta per una paga da fame, tanto a pagare quello che manca per vivere c'è sempre la collettività con le integrazioni salariali della sicurezza sociale. La tassazione sui profitti aziendali resta pero' moderata, sebbene beneficino di questo programma di sussidi grazie alle integrazioni salariali.

Fatti noti da tempo. Non è certo una novità che questa costellazione contribuisca a disintegrare la base democratica. I cittadini sono insoddisfatti, si rivolgono a delle false alternative oppure con rassegnazione voltano le spalle alla politica. Chi vuole impegnarsi nella lotta contro AfD, deve mettere dei soldi a disposizione. Specialmente per i comuni, non solo per delle misure di formazione alquanto astratte oppure per le offerte di qualificazione professionale che in realtà non servono a nessuno. I cittadini hanno bisogno di avvertire una scossa nel paese e vedere che gli investimenti necessari a rinnovare, modernizzare e semplificare la loro vita vengono realmente fatti.

Riconoscersi nell'obiettivo dello schwarze Null è esattamente l'opposto. Chiunque si riconosca in questo traguardo, non può' prendere sul serio la lotta contro gli intrighi dei populisti di destra, cioè il grande obiettivo dei socialdemocratici. Gli zeri rossi si sono arresi. Al momento c'è solo un'alternativa per la Germania in grado di indebolire quella con lo stesso nome: la fine dell'austerità. Forse Martin Schulz non era poi cosi' male, dopo tutto. La nostalgia è una cosa anche bella. Soprattutto se il presente sembra il completamento dello sviluppo evolutivo dell'imbecillità. Perché prima tutto era meglio, anche se non era buono. Anche se l'uomo avesse detto qualcosa di positivo sullo zero nero, lo abbiamo dimenticato. Come del resto faremmo con questa critica all'impegno di Nahles nei confronti dello zero nero, se nel prossimo discorso domenicale dovesse dichiarare la lotta ad AfD.

sabato 12 maggio 2018

La magia nera dello zero nero

I tedeschi sempre piu' ipnotizzati dalla magia nera dello zero nero, lo Schwarze Null, con un Ministro delle Finanze che qualcuno ha ribattezzato Schäuble 2.0 e che di fatto sta perdendo un'occasione storica per la socialdemocrazia tedesca. Ne parla Paul Steinhardt su Makroskop.de


Olaf Scholz non può essere certo accusato di non far seguire le azioni alle parole. Non solo si è impegnato a proseguire con lo "Schwarze Null“, ma secondo quanto scrive Handelsblatt, da qui al 2022 vorrebbe ridurre anche gli investimenti pubblici per evitare di avere un deficit di bilancio.

Cio' è troppo anche per Handelsblatt e per questa ragione il giornalista ipotizza che tralasciare gli investimenti annunciati nell'accordo di coalizione in materia di "istruzione, ricerca, università e digitalizzazione, nel medio termine avrebbe delle conseguenze disastrose". Critica il fatto che "la nuova grande coalizione riprenda il lavoro esattamente laddove quella vecchia aveva terminato", proseguendo l'opera "di assottigliamento delle fondamenta su cui il finanziamento dello stato sociale si basa" (qui)


Non c'è alcun dubbio sul fatto che senza un massiccio aumento degli investimenti pubblici non è pensabile che in Germania lo "stock di capitale" possa crescere senza ulteriori contraccolpi per i lavoratori o per l'istruzione dei bambini, oppure per il reddito dei pensionati o sul livello della cura garantita ai malati e alle persone bisognose.

Non è pensabile - come invece rispondono all'ufficio stampa del Ministero delle Finanze - che "per la gestione dei cambiamenti strutturali di lungo periodo, come gli effetti del cambiamento demografico sul sistema pensionistico e sanitario" lo "schuldenbremse tedesco" possa essere considerato "una norma costituzionale ragionevole". 

Quanto tutto cio' sia privo di senso, lo mostra il progetto di bilancio di Scholz. Se in Germania anche per i liberisti c'è una forte mancanza di investimenti pubblici ed è urgente una correzione per non mettere a rischio il futuro economico del paese, allora tali investimenti, zero nero o no, devono essere fatti. E nessuno dubita seriamente del fatto che questi investimenti possano essere realizzati - sono perfino raccomandati dal FMI e dalla BCE. Tali investimenti nei fatti sono impediti solo dalla credenza molto tedesca che il bilancio di uno stato sia soggetto alle stesse restrizioni che caratterizzano il bilancio di una famiglia o di un'impresa.

Come ho sostenuto altrove, questa convinzione deve essere finalmente riconsiderata come un mito, se vogliamo porre fine alla disastrosa politica economica della Germania. 

Anche Handelsblatt crede a questo mito. Lo schwarze Null "non è un feticcio, piuttosto un succcesso", scrive il quotidiano economico. Chiunque in considerazione della crisi degli investimenti pubblici "stia chiedendo di indebitarsi di piu' per fare piu' investimenti", dovrebbe "rileggere con piu' attenzione Keynes", scrive l'autore con una certa convinzione.

Cosa ci sarebbe da fare allora, se hai letto Keynes e lo hai capito? Bene, in primo luogo, scrive Handelsblatt, ci si renderebbe conto che in un momento congiunturalmente buono come quello attuale non c'è bisogno di fare ulteriore deficit di bilancio ma c'è bisogno di una riorganizzazione: via dal consumo, verso gli investimenti.

"Perché già dal 2014 la spesa sociale ha mostrato una dinamica pericolosa. Al momento lo stato centrale destina piu' della metà delle sue uscite alla spesa sociale, la tendenza è crescente. Gli investimenti nello stesso periodo sono rimasti al massimo stabili".

Ecco di nuovo il mito della necessità di rinunciare ai consumi per fare investimenti. Ma se parliamo del settore privato, la presunta relazione non funziona. Chi ha letto Keynes, sa che ridurre il consumo significa ridurre la domanda complessiva. Ma le aziende, i cui prodotti saranno meno richiesti, non faranno investimenti ma cercheranno di aggiustare la loro capacità produttiva a una domanda piu' bassa. Quindi la proposta riduzione della spesa sociale servirà solo ad abbassare il PIL e ad aumentare la disoccupazione.

Uno sguardo ai saldi settoriali tedeschi è sufficiente per dimostrare empiricamente queste affermazioni. Come abbiamo già affermato, in Germania le imprese e le famiglie stanno risparmiando. Ma se gli squilibri del commercio estero sono dannosi per i nostri patner commerciali, l'eccedenza del settore privato logicamente avrà bisogno del deficit pubblico. Chi in questa situazione continua a parlare esclusivamente della sostenibilità del debito pubblico, mostra solo una cosa: con la storia della casalinga sveva oppure del rispettabile uomo d'affari di Amburgo ha preso un grosso abbaglio.

Quanto questa ideologia sia cieca lo mostra Jan Dams su Die Welt, il quale ha parole di elogio per Olaf Scholz, in quanto "avrebbe difeso i soldi dei contribuenti". Non ci sarebbe "capacità disponibile per costruire", scrive il giornalista, perché "in passato lo stato ha risparmiato molto". Non sembra pero' arrivare all'idea che lo stato potrebbe anche investire per aumentare la capacità disponibile per le costruzioni.

Ma cio' non aiuta. Quando si tratta della razionalità economica nell'interesse della maggioranza delle persone nella nostra comunità, ora come in futuro, non dobbiamo avere paura di dire e ripetere, se necessario: i deficit di bilancio pubblico sono il segno di una politica fiscale sana - mentre lo "Schwarze Null" causa dei gravi danni alla nostra comunità e a quella dei nostri vicini.


venerdì 11 maggio 2018

L'incubo dello Schwarze Null

Con un commento molto interessante Mark Schieritz su Die Zeit attacca la follia tedesca del pareggio di bilancio: la Germania ha bisogno di un'offensiva sugli investimenti pubblici perché le infrastrutture sono in pessime condizioni e quando non ci sarà più' debito pubblico il paese non sarà più' ricco, bensì' più' povero. I tedeschi devono fermare questa follia. Ne scrive Die Zeit.

Contatore del debito pubblico

L'orologio piu' famoso del quartiere governativo di Berlino recentemente ha iniziato a muoversi all'indietro. Da gennaio di quest'anno il debito tedesco - come registrato dall'associazione dei contribuenti nel loro contatore del debito - sta scendendo di 78 euro al secondo.

Cosa cio' significhi esattamente puo' essere letto nell'ultimo rapporto finanziario del Fondo monetario internazionale (FMI). Secondo il documento, nel 2023 il rapporto debito/pil tedesco avrà raggiunto il 42,4% del Pil. Attualmente siamo al 64.1 %. Se dovesse mantenere questo ritmo in 15 anni lo stato tedesco non avrà piu' debito.

Un sogno? Un incubo!

Per un paese come la Germania vale sempre: quando non ci sarà piu' debito pubblico, allora il paese non sarà piu' ricco, ma piu' povero.

Bisogna sapere che il debito pubblico in un'economia moderna svolge un ruolo importante. E' un bacino di raccolta per il surplus di denaro dei risparmiatori. Chi vuole investire il proprio patrimonio in maniera sicura acquisterà dei titoli di stato tedeschi. Quando non ci sarà piu' debito sovrano tedesco, non ci saranno piu' titoli di stato tedeschi da comprare.


I risparmiatori - ma anche le banche e le imprese -  se vogliono investire denaro, dovranno allora acquistare azioni. Ma non c'è alcuna garanzia che il valore di un'azione domani sarà lo stesso di oggi. In altre parole: quando lo stato non farà piu' debiti, allora sarà alquanto difficile investire denaro in maniera sicura. E questa è una minaccia per la stabilità dell'intero sistema finanziario.

Non c'è assolutamente alcun motivo per correre questo rischio. Non ci troviamo in una situazione in cui lo stato tedesco non puo' permettersi di fare debito. Al contrario, dopo decenni di austerità mal interpretata il paese sta vivendo della propria sostanza. Le strade sono fatiscenti, anche i ponti, e della condizione delle scuole pubbliche meglio non parlarne. Se - come accade a Berlino - a soccorrere le persone che si sentono male devono andare i vigili del fuoco con un camion cisterna, perché non ci sono ambulanze disponibili, allora qualcosa è andato storto.

Quello che c'è da fare è ovvio: la Germania ha bisogno di un'offensiva sugli investimenti. Il governo federale, le regioni e i comuni devono mettere mano ai soldi e correggere gli errori del passato. Molti soldi. E poiché molte società di costruzioni attualmente non hanno capacità disponibile e quindi non possono accettare nuovi ordini, una tale offensiva deve durare diversi anni, se non decenni.

Sarebbe tuttavia folle finanziare le uscite per il risanamento delle infrastrutture con le entrate correnti. Se i ponti e le strade vengono riparati, a trarne beneficio saranno soprattutto le generazioni successive. Pertanto sarebbe perfettamente logico scaricare su di loro una parte dei costi. In termini finanziari: fare debito. Perfino la casalinga sveva, citata spesso in questo contesto, potrebbe essere d'accordo. Alla fine probabilmente anche l'acquisto della sua casa è stato finanziato con un prestito della banca.

Cio' non significa che lo stato dovrà buttare i soldi dalla finestra. Significa invece che alcune ipotesi di base della politica fiscale tedesca dovranno essere riconsiderate. Il freno all'indebitamento (Schuldenbremse) ad esempio è figlio dei suoi tempi. E' stato inserito nella Costituzione circa dieci anni fa, perché a quell'epoca si temeva che il debito pubblico finisse fuori controllo.

Il problema oggi è un altro. Oggi la massima priorità dovrebbe essere quella di arrestare il declino dell'infrastruttura pubblica e rendere il paese adatto per il ventunesimo secolo. Invece dello Schuldenbremse (pareggio di bilancio) - nella Costituzione tedesca dovrebbe esserci una regola sugli investimenti. Perchè una cosa è certa: nessuno avrà dei vantaggi se fra 15 anni la Germania non avrà piu' debiti ma nemmeno una scuola funzionate. Neanche i nostri figli.


giovedì 10 maggio 2018

Thomas Mayer: "la Bundesbank deve boicottare il sistema Target 2"

Thomas Mayer, ex capo-economista di Deutsche Bank, in un'intervista alle Deutsche Wirtschaftsnachrichten propone il congelamento del sistema Target 2 da parte della Bundesbank e l'introduzione di un nuovo sistema Target 3 in cui i trasferimenti fra le banche centrali nazionali sarebbero garantiti dall'oro. Dalle Deutsche Wirtschaftsnachrichten


In una lettera aperta al Presidente della Commissione Europea lo „European Constitutional Group“ ha messo in guardia da un ulteriore approfondimento dell'unione economica e monetaria. Uno dei firmatari dell'appello è l'ex capo-economista di Deutsche Bank, Thomas Mayer. In un'intervista alle Deutsche Wirtschaftsnachrichten chiarisce perché i piani della Commissione non solo danneggerebbero i contribuenti tedeschi, ma nel lungo periodo l'intera eurozona.


"Per la Commissione si tratta essenzialmente di regolarizzare la messa in comune delle garanzie fra gli stati dell'UE", cosi' secondo Thomas Mayer. Di fatto questa comunità fondata sulla messa in comune delle garanzie esiste già adesso, ed è il risultato della politica della BCE. La banca centrale ha infatti aiutato i paesi dell'eurozona in crisi, ricorrendo a vari meccanismi e programmi di acquisto, ma nel fare cio' ha assunto rischi enormi nel proprio bilancio. Ha agito in un'area legale alquanto grigia. La Commissione UE  ora vuole porre fine a questo stato di cose e sottrarre alla BCE il suo ruolo di salvatore dell'euro. Altrimenti in caso di un rallentamento dell'attività economica dovrebbe intervenire ancora una volta in maniera massiccia, distruggendo quindi la fiducia residua nella moneta unica.

Le proposte del presidente francese Macron, secondo Mayer, vanno nella stessa direzione di quelle della Commissione Europea. La lenta formazione del governo tedesco ne ha, almeno inizialmente, rallentato lo sviluppo. L'obiettivo sarebbe quello di utilizzare la situazione economica attuale piuttosto favorevole nell'UE per riuscire ad imporre i piani della Commissione. Idealmente cio' dovrebbe coincidere con la fine del mandato di Draghi. Thomas Mayer: "Christine Lagarde una volta ha detto: ripara il tuo tetto quando splende il sole - e non quando piove".

La fretta della Commissione europea è comprensibile, ma l'attuazione dei loro piani non promette nulla di buono. Perché essenzialmente si tratta di un trasferimento del rischio. L'azzardo morale porta a delle economie improduttive e quindi nel lungo termine non conduce ad una ripresa dell'eurozona. "Se andate all'osteria con un gruppo di persone di regola ordinate solo quello che vi potete permettere di pagare. Supponete di ordinare una zuppa di lenticchie, mentre gli altri si mangiano una bistecca di filetto. Fino a quando ognuno paga per sé, è tutto perfetto. Se invece alla fine il conto viene diviso fra tutti gli ospiti, chi ha ordinato una zuppa di lenticchie potrebbe essere infastidito dal fatto di non aver ordinato una bistecca. E quando chi ha mangiato una bistecca non ha i soldi per pagarla e il conto da saldare resta a quelli che hanno ordinato una zuppa, diventa tutto ancora piu' amaro".

Per questo sta crescendo l'opposizione nei confronti dei piani della Commissione Europea - anche all'interno dell'Eurogruppo - dove alcuni paesi del nord stanno aprendo la strada, come accade anche nella CDU. Anche Thomas Mayer si oppone ad una messa in comune delle responsabilità. I cittadini e i contribuenti tedeschi, attraverso i cosiddetti i saldi "Target 2", avrebbero già sovvenzionato l'euro con circa 950 miliardi di euro. Ci stiamo avvicinando alla svelta al trilione. Contemporaneamente il livello dei crediti Target corrisponde ad una reale perdita di prosperità del popolo tedesco di pari misura. Inoltre, in un eventuale collasso della zona euro, questa somma molto probabilmente sarebbe persa.

Thomas Mayer chiede che la Bundesbank congeli i saldi "Target 2" e li sostituisca con un nuovo sistema "Target 3". Nel sistema Target 3, per poter ricorrere ai prestiti, sarebbe necessario depositare delle garanzie - come l'oro ad esempio. Un accesso illimitato ai prestiti in questo modo non sarebbe piu' possibile. Thomas Mayer: "cio' neutralizzerebbe gli squilibri della bilancia dei pagamenti all'interno dell'eurozona. Inoltre, se non fosse piu' sovvenzionato attraverso il meccanismo Target 2, l'euro verrebbe messo sotto pressione".

La conseguenza: sotto l'ombrello della moneta unica emergerebbero vari "euro nazionali". Questo significa che un "euro tedesco" potrebbe potenzialmente avere un valore intrinseco superiore rispetto a quello italiano. Questo problema è noto da tempo e ci sono sempre state diverse considerazioni su come poter affiancare all'euro delle valute parallele nazionali. Cosi' in Italia ad esempio ci sono state alcune proposte per emettere dei titoli di debito, che nei confronti dell'euro si inflazionerebbero e che nei fatti equivarrebbero a una valuta parallela. Tuttavia un simile sviluppo allontanerebbe prima o poi l'euro dal suo ruolo di concorrente del dollaro. Sarebbe probabilmente il renmibi cinese in futuro ad assumere questo ruolo.

Non bisogna inoltre dimenticare che un euro piu' economico per la Germania porterebbe con sé dei problemi strutturali nell'economia tedesca. Rimuoverebbe infatti la pressione all'innovazione che invece si genera da una moneta forte. Come conseguenza l'economia tedesca rinuncia agli aumenti di produttività - e perde potenzialmente competitività. Cio' si noterebbe immediatamente in caso di rottura dell'euro.

Anche la grande dipendenza dell'economia tedesca dal settore automobilistico potrebbe dimostrarsi un'ipoteca sul futuro - soprattutto in considerazione delle discussioni sugli sviluppi del motore a combustione. Per quanto riguarda le tecnologie del futuro, la Germania resta relativamente debole. L'euro in questo ambito ha agito come un " dolce veleno" rallentando la modernizzazione dell'economia tedesca.

Thomas Mayer: "nel lungo periodo l'unione di trasferimento non porterà benefici neanche ai paesi riceventi perché eliminerà ogni incentivo a rendere la propria economia piu' competitiva. Siamo di fronte ad un dilemma: la BCE non puo' continuare come ha fatto fino ad ora - pena il crollo della fiducia nell'euro. La roadmap della Commissione UE per un approfondimento dell'unione economica e monetaria equivarrebbe ad un trasferimento dei rischi e finirebbe per indebolire l'intera eurozona. Per questo la crisi dell'euro - che è anche una crisi di bilancia commerciale - dovrebbe essere risolta ponendo fine al sistema di trasferimento Target 2. Per gli scambi con i nostri partner non europei dovremmo riflettere su come modificare le aliquote IVA allo scopo di riequilibrare la bilancia commerciale tedesca".


martedì 8 maggio 2018

La nuova politica migratoria della Linke: aiutiamoli a casa loro!

Breve traduzione di alcuni passaggi significativi dal recente documento della Linke con il quale alcuni esponenti di spicco del partito di sinistra, in linea con Oskar Lafontaine Sahra Wagenknecht, prendono posizione contro le "frontiere aperte" e dicono quello che sono in molti a pensare ma che fino ad ora a sinistra non si poteva dire: aiutiamoli a casa loro! Documento completo dal sito di Fabio De Masi


Legge sull'immigrazione e diritto d'asilo

Nel dibattito attuale, l'immigrazione e l'asilo spesso sono stati confusi fra di loro, a volte involontariamente, altre volte per scopi politici. Entrambi devono tuttavia restare distinti, non solo dal punto di vista giuridico-amministrativo, ma anche dal punto di vista normativo e della teoria dell'azione. La fuga da un paese e l'immigrazione non sono solo formalmente e amministrativamente diversi fra di loro, ma sono anche azioni con diverse condizioni di scelta, diversi moventi e diversi obiettivi, che  devono percio' essere considerate e classificate differentemente dal punto di vista politico ed etico.

La protezione illimitata garantita alle persone bisognose è qualcosa di molto diverso rispetto all'immigrazione illimitata, che invece include tutti coloro che desiderano guadagnare un po' di piu' oppure migliorare il proprio tenore di vita. Nel primo caso si tratta di misure di protezione o di salvataggio indirizzate a persone in una situazione di emergenza o potenzialmente pericolosa. Nell'altro caso la migrazione è un atto motivato dal punto di vista socio-economico, che non è né senza alternative, né rappresenta l'ultima possibilità, ma che piuttosto è una scelta fatta fra le varie opzioni possibili. I paesi riceventi in questo caso hanno il diritto di regolare l'immigrazione.

Sebbene la Carta dei diritti umani delle Nazioni Unite sancisca un diritto universale all'emigrazione, tuttavia non è in alcun modo previsto un corrispondente diritto universale all'immigrazione. Non esiste di fatto un diritto alla libertà di movimento globale e alla libertà di stabilirsi ovunque e non ci sarà nulla di simile nel prossimo futuro. Mettere sullo stesso piano il diritto d'asilo con quello "all'immigrazione" è totalmente infondato dal punto di vista dei fatti, delle norme e della teoria. In definitiva cio' indebolirebbe la forza politica e morale della legge sull'asilo che verrebbe reso superfluo e svalutato da una legge sull'immigrazione illimitata.

Politica sull'immigrazione e stato

Il modello delle frontiere aperte in un mondo solidale e pacifico è una visione per il futuro a cui miriamo. Allo stato attuale tuttavia le condizioni non sono soddisfatte. Abbiamo bisogno di soluzioni realistiche intermedie e transitorie che ci avvicinino a questo obiettivo. Devono essere praticabili nelle attuali condizioni ed essere accettabili da quella parte della popolazione composta da lavoratori dipendenti e dalla parte meno privilegiata della società. In un ordine mondiale dominato dal capitalismo neoliberista globalizzato e organizzato in stati territoriali puo' farlo solo lo stato sociale, inevitabilmente organizzato su base nazionale, il quale agisce come istanza pratica per una politica migratoria umanitaria e sociale. Solo su questa base sarà realisticamente possibile costruire una posizione seria. Dovremmo pertanto orientarci alle nazioni unite in cui sono rappresentati sia i paesi di emigrazione che di immigrazione, come i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo. Li' si discute dal 2016 di un "patto globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare". L'Onu riconosce esplicitamente la sovranità nazionale nel plasmare la politica di immigrazione, a condizione che siano rigorosamente rispettate tutte le norme e gli standard umanitari, legali e sociali.

Puntata precedente sullo stesso tema