venerdì 27 settembre 2013

L'incredibile storia del deficit/PIL al 3%

L'incredibile storia del deficit massimo al 3% del PIL, il mantra europeo degli ultimi 20 anni, ci ricorda quanto è sottile il confine fra scienza e ciarlateneria. Da FAZ.net


30 anni fa uno sconosciuto funzionario francese ha creato il famoso limite del deficit al 3%, che ancora oggi ha un ruolo determinante nella zona Euro.


E' un numero magico, che non lascia alcun paese indifferente - in Europa, e non solo. Il limite del deficit pubblico al 3% del PIL, fissato dal trattato di Maastricht nel 1992, resta il freno all'indebitamento per i membri dell'unione monetaria. In piu' occasioni è stato superato, ma continua a far sentire i suoi effetti, anche solo come riferimento. A nessun politico è permesso di ignorarlo.



Ma perché proprio il 3%, e non il 2.5 % o il 3.5 % o il 4%? "Economicamente è difficile da giustificare", disse una volta l'ex presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer, mentre osservava da vicino la nascita del criterio. All'origine della storia c'è un funzionario di basso livello del Ministero delle Finanze francese, all'epoca non ancora assunto: il francese Guy Abeille. La famosa idea di un limite al 3% nacque nel 1981 in una stanza sul retro del ministero, che all'epoca si trovava ancora al Louvre, accanto al famoso museo. Inizialmente fu utilizzato dal governo francese per i suoi obiettivi di politica interna, dopodiché, su proposta dei francesi, è stato applicato su scala europea. Monsieur Abeille, un uomo magro con gli occhiali senza montatura e la camicia aperta, racconta in un caffè parigino come nacque il criterio del 3%. I protagonisti dell'epoca, come Tietmeyer e il futuro presidente della BCE Jean-Claude Trichet, confermano la sua versione.


Il numero fu trovato alla svelta

I socialisti nel 1981 avevano da poco vinto le elezioni presidenziali e François Mitterrand si era impegnato a mantenere le sue costose promesse elettorali. Le aspettative dei cittadini e dei ministri del suo governo erano molto alte. Il deficit pubblico (lo stato centrale senza i dipartimenti, i comune e le casse sociali) in un anno era passato da 50 a 95 miliardi di Franchi. Mitterand sapeva che non poteva andare avanti cosi', e si mise a cercare un modo per mantenere il controllo. Diede l'incarico ad un uomo che considerava affidabile: Pierre Bilger, l'allora vice direttore del dipartimento del bilancio al Ministero delle Finanze. Il Presidente avrebbe bisogno "di una sorta di regola, qualcosa di facile, che assomigli al risultato di una profonda competenza economica", diceva Bilger - e serve subito. A Bilger vengono in mente due esperti che lavorano nelle stanze sul retro del Louvre: uno era Abeille, allora non aveva nemmeno 30 anni, e Roland de Villepin, un cugino del futuro primo ministro Dominique de Villepin. Bilger dette l'incarico ai due sapendo che avevano avuto una formazione economica con molta matematica all'ENSAE. Tenne invece volutamente a distanza i colleghi usciti dalle scuole di amministrazione  dell'ENA e membri di quella élite.

I due francesi evitarono di fare dei calcoli matematici in puro stile economico. Una sera ("era già notte", ricorda Abeille) i due concordarono che come parametro di riferimento bisognava utilizzare il PIL, perché poteva essere compreso da chiunque. Anche il numero fu trovato rapidamente: "Prendemmo in considerazione i 100 miliardi del deficit pubblico di allora. Corrispondevano al 2.6 % del PIL. Ci siamo detti: un 1% di deficit sarebbe troppo difficile e irraggiungibile. Il 2% metterebbe il governo sotto troppa pressione. Siamo cosi' arrivati al 3%". Senza un fondamento scientifico, era nato un criterio di analisi economica che in seguito avrebbe fatto il giro del mondo. "Nasceva dalle circostanze, senza un'analisi teorica", ricorda Abeille. Dopo aver spedito verso l'alto la loro proposta, prima fu utilizzata dall'allora Ministro delle Finanze Laurent Fabius (oggi ministro degli esteri) e poco dopo anche da Mitterand. "Il limite massimo è il 3% del PIL - non oltre", era la linea politica annunciata dal presidente il 9 Giugno 1982.

I debiti all'inizio degli anni novanta

La diga ha retto, con l'eccezione di un piccolo sforamento nel 1986, per diversi anni; all'inizio degli anni '90 e per qualche anno l'indebitamento francese torna invece a superare la soglia del 3%.

Dopo questo risultato i francesi vorrebbero dare una carriera europea alla loro regola nazionale. Poche settimane prima dell'inizio della conferenza di Maastricht, nel dicembre 1991, i negoziati europei si trovavano ad un punto morto. L'allora Direttore del Tesoro Jean-Claude Trichet e futuro presidente della BCE mette allora sul tavolo dei negoziati la regola del 3% (che questa volta dovrebbe includere tutti gli enti locali e i fondi di previdenza). "La Francia ha avuto delle ottime esperienze, la regola è semplice e comprensibile per tutti", dichiaro' Trichet alla Frankurter Allgemeinen Zeitung. La proposta tedesca, corrispondente all'articolo 115 della costituzione, prevedeva un deficit massimo pari al livello degli investimenti pubblici effettuati. Venne ritenuta inattuabile. "In quel caso alcuni stati membri avrebbero considerato le spese militari o quelle per l'istruzione come investimenti", disse Trichet. I tedeschi si fecero convincere alla svelta dall'idea del 3% francese.

Trichet era riuscito a trovare perfino un ragionamento economico, ripreso anche dall'allora Ministro delle Finanze tedesco Theo Waigel: "Il livello di indebitamento europeo all'inzio degli anni '90 era pari a circa il 60% del PIL. La crescita nominale era circa il 5%, e l'inflazione al 2%. In questa situazione i debiti potevano crescere al massimo di un 3 % all'anno, per non superare la soglia del 60%", dice Weigel.

Questo calcolo tuttavia non era alla base della regola del 3%, era stato fatto solo a posteriori. L'assunto di una crescita al 5% "purtroppo era troppo ottimista, come sappiamo oggi", ammette Trichet. "Avremmo dovuto fissare dei limiti all'indebitamento piu' bassi, perché la crescita è stata inferiore", dice oggi l'ex presidente della BCE.

La regola è stata applicata in diverse situazioni, anche in paesi come il Canada o l'Indonesia. Il "padre della regola" oggi ha 62 anni, e assiste agli sviluppi con un certo divertimento: "non l'avremmo mai immaginato". Tuttavia è rimasto un sostenitore della disciplina di bilancio. Nel suo ruolo di funzionario, da dietro le quinte, Abeille ha visto in piu' occasioni come i governi francesi prima delle elezioni abbiano fatto manipolare i dati. Per questo secondo lui le regole dovrebbero avere un'applicazione piu' stretta e non offrire scappatoie. Abeille considera invece alquanto utopici i calcoli sul deficit strutturale, al momento di gran moda, che ignorano l'impatto congiunturale. 

"Non ho un curriculum presentabile"

Già da tempo non lavora piu' per il governo francese. Dopo l'uscita dal Ministero delle Finanze, per un periodo ha lavorato in un'autorità ambientale ed energetica, per poi diventare uomo di casa e tentare la strada della scrittura. "Non ho un curriculum presentabile", dice scherzando Abeille, senza esserne imbarazzato. Molto piu' significativa è invece la sua eredità, perché anche se la regola del 3% non è perfetta, resta comunque un'ancora a difesa delle prossime generazioni dagli appettiti dei politici affamati di spesa pubblica. Ora tocca ai governi rispettare questi criteri...

8 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  2. Ma non facevano prima a trovare 'sto tetto del deficit buttando sul tavolo un singolo dado?

    Alea iacta est ed ha dato come risultato 3.
    Un colpo di genio. Non capisco perchè al tempo non l'ebbero. :-)

    RispondiElimina
  3. Ragazzi, se pensiamo che il nostro governo, nonostante una marea di imposte è già arrivato a sforare il tetto del 3% del PIL ( siamo già al 3,1% ) mi chiedo cosa dovrà inventarsi il sig. Letta per farsi bello davanti alla Merkel!! forse un'altra imposta ad hoc?? Non capiscono che più ci martellano di imposte e meno possibilità ha il mercato italiano di ripartire! detto questo...la regola del 3% mi faceva già storcere il naso...ora che so come è nata, non so se mettermi a ridere allegramente o piangere amaramente! comunque grazie per l'informazione!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. non posso fare a meno di pensare a questo:

      "la guerra è pace la libertà è schiavitù l'ignoranza è forza"

      Elimina
    2. Molto sconsolatamente .... quoto... :-(

      Elimina
    3. Beh si....l'ignoranza è forza...ma solo per chi continua a rubarci il futuro! ecco che poi capiamo perchè vengono tolti fondi pubblici alla scuola e alle università...ci vogliono ignoranti per manovrarci meglio! ma noi giovani stiamo capendo per fortuna!

      Elimina
  4. Il 3 è un numero culturalmente evocativo, magico, quasi sacro.
    Se proprio vogliono imporlo, basta dire che si applica quando il tasso di disoccupazione di un paese è inferiore al 5%, altrimenti la UE deve investire in opere pubbliche anti-disoccupazione, non a carico dei bilanci dei singoli Stati, anche per invertire gli squilibri commerciali interni all'Europa.

    Perché questo numero sacro è diventato un numero esiziale? Perché tutto ciò è avvenuto?

    Ancora una volta per ragioni apparentemente culturali ma in realtà intrinsecamente lobbistiche:

    Culturali per il successo della visione monetarista di Friedman (stampare moneta = inflazione).
    Lobbistica perché questa visione è stata foraggiata a livello sia accademico ma ancor più politico da quella finanza (soprattutto anglosassone) che voleva ottenere rendite finanziarie reali positive, dall'indebitamento degli Stati, soffiando loro la sovranità monetaria attraverso il mito dell'indipendenza delle Banche Centrali dai governi.
    Poi hanno introdotto una deregulation selvaggia sui sistemi, gli assetti ed i prodotti bancari, oltreché sulla libera circolazione dei capitali.

    Alla fine ci sono riusciti.

    Sta a noi accettare supinamente (e ortogonalmente) l'infausto destino.

    RispondiElimina
  5. Ciò che mi lascia molto sconcertata è che la regola è fissa per flussi dinamici, si applica indistintamente su paesi strutturalmente diversi, non tiene conto di eventi esogeni insomma è una gran cavolata e come al solito è stata fatta di fretta per accontentare il politico di turno a fare bella figura. Anche io non so se ridere o piangere, e comunque il mio istinto mi diceva che dietro a questo indicatore non c'era serietà scientifica. Con questo articolo ho avuto la conferma.

    RispondiElimina